La missione in cattedra e in bicicletta
Riproponiamo alcuni spunti biografici del saveriano vicentino p. Gio Batta Mondin, raccontati durante un’intervista raccolta da p. Filippo Rota Martir al “Collegio Conforti” di Roma e pubblicata nel numero di maggio 2012. Un modesto tributo al grande missionario, deceduto a Parma il 29 gennaio 2015.
La mia vocazione è nata anzitutto in famiglia, a Monte di Malo. Durante il liceo, mio padre Giuseppe era entrato in seminario. Nella prima guerra mondiale venne arruolato e promosso tenente, combattendo sul Monte Grappa. Finita la guerra, non rientrò in seminario e conobbe una brava ragazza, mia mamma Maria. Si sposarono ed ebbero quattro figli, educati in modo splendido.
L’inizio della vocazione
Sono diventato chierichetto in parrocchia, e questo mi ha instradato verso la vita sacerdotale. Ho avuto sempre una certa attrattiva e interesse verso la chiesa. Nel mio paese eravamo una trentina di ragazzi della mia classe e cinque di noi avevano sentito la vocazione. Bisognava sistemarci in diverse congregazioni e il parroco scelse lui stesso dove mandarci.
Io fui “assegnato” ai saveriani di Vicenza, dove era rettore p. Pietro Uccelli, una persona molto spirituale. Tra i miei compagni c’era anche Giovanni Zaltron che, pur vestito decentemente, aveva i calzoni che arrivavano appena al ginocchio. Un giorno p. Uccelli gli disse: “Zaltron, o allunghi i calzoni o scorci la gamba!”.
Il mio primo incidente
Avevo 11 anni quando mio padre mi portò con il calesse a Vicenza, fino al seminario dei saveriani. Per venirmi a trovarmi comprò una bicicletta da donna, così poteva venire a trovarmi anche mia sorella più grande. Quando andavo a casa durante le vacanze cominciai a usare la bicicletta…
Al primo tentativo ho inforcato un reticolato e ho fatto una bella bucata nella gomma davanti e un bel capitombolo. Ricordo che era domenica e avevo un bel vestito azzurro nuovo, eavevo un cartoccio pieno di zucchero per portarlo a mia zia. Ruppi il sacchetto dello zucchero, ma mia zia mi accolse ugualmente facendomi la festa. Per loro quello zucchero, pur mischiato a polvere e sabbia, era sempre una manna. Questo è stato il primo grande incidente ciclistico, il primo di una lunga serie…
Fu così che nacque la passione per il ciclismo, lo sport che ho praticato di più. Al mio paese ho anche fatto fare un monumento dedicato alla Madonna del ciclismo.
In pellegrinaggio con Bartali
Nei nostri pellegrinaggi in bicicletta, abbiamo visitato i principali santuari mariani d’Europa.Il primo pellegrinaggio è stato Milano - Lourdes - Milano. Lo avevo lanciato sul Corriere della sera, dettando le condizioni per partecipare: 200 km al giorno a una media di 30 all’ora. Bisognava essere allenati per partecipare (vedi il libro, “L’Europa in bicicletta”).
Il secondo pellegrinaggio è stato Lourdes - Fatima, passando per i Pirenei. Avevamo due pullman per l’assistenza perché venivano anche i famigliari. Il terzo pellegrinaggio è stato Vicenza - Częstochowa - Vicenza. Era diventato papa Wojtyla e il santuario di Częstochowa era diventato subito famoso.
Il quarto pellegrinaggio è stato in Terrasanta. Lì avevo un giornalista che mi voleva molto bene e ha fatto l’illustrazione del percorso.
Conoscevo già Bartali, che partecipava insieme a me alle corse a cronometro. Mi diceva che andavo forte e che avevo un bel passo, soprattutto in pianura. In Terrasanta Bartali è stato la stella, il faro che ha illuminato il pellegrinaggio. Avere Bartali era veramente il massimo: era una grande personalità.
Arrivati a Tel-Aviv, sono venuti a riceverlo con un mazzo di fiori e hanno fatto festa.