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La gioia di rientrare in Congo

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Quando dovetti viaggiare d’urgenza dal Congo per l’Italia, a fine marzo 2014, fu per malattia. I medici di Bukavu avevano sospettato anche un tipo di labirintite, come fu poi accertato a Parma, ma non poterono confermarlo perché l’otorinolaringoiatra dell’ospedale generale era fuori sede. Il caso si sarebbe risolto lì. Una volta in Italia, invece, i superiori pensarono di fermarmi per un periodo più lungo. Ora, finalmente, mi hanno spalancato la porta del rientro in Congo.

È stato provvidenziale questo periodo trascorso in Italia. Ho visto meglio l’importanza di lavorare in umile spirito di servizio e sviluppare la comunione. Inoltre, la lontananza ha accentuato in me il desiderio di rientrare. Qualcuno mi ha detto: “Ma perché non resti in Italia? L’Africa viene da noi e sono tanti gli africani in Italia, anche qui a Taranto!”. Per capire, bisogna andare alle origini. Quando, nel seminario di Benevento, il padre spirituale, dopo un cammino di tre anni, mi diede la certezza di una vera vocazione missionaria, il 1° ottobre 1962, a 19 anni, lasciai in lacrime la mia famiglia, per andare verso una “Terra che il Signore mi avrebbe mostrato”. La vocazione missionaria è per tutta la vita. Solo l’obbedienza o la malattia possono essere il motivo di un rientro definitivo in Italia. Non si tratta di mal d’Africa. Soffro sempre quando lascio i familiari e l’Italia. Però, ritorno in Congo come il pesce rientra nella sua acqua.

In questo lungo periodo italiano ho constatato che l’Africa, in 40 anni, mi ha segnato nel profondo del cuore. Il Congo poi attira di più perché è una Terra martoriata. Molte forme gravi di oppressione pesano duramente sulla schiena della gente. Le notizie di questi ultimi mesi parlano dell’aggravarsi della situazione. Al termine del secondo mandato di presidenza, Joseph Kabila avrebbe dovuto dimettersi a fine 2016… La gente ha manifestato aspramente e ha pagato anche con la vita! Ma il presidente non può (non deve) andarsene finché i signori del mondo (le multinazionali, in primis quelle Usa) non trovano un altro personaggio “docile e collaborativo”… Il popolo congolese continua a lottare in modo non-violento. Ciò può sembrare inutile, ma è un lievito finché tutti i popoli del mondo ascolteranno il grido di unirsi contro le dittature delle multinazionali, che globalizzano le ricchezze nelle mani di pochi, le loro, mentre tutti gli altri, seppure in maniera diversa, perdono dignità di vita e libertà autentica. E noi sappiamo che, nel mistero Pasquale di Cristo, anche la sofferenza produrrà i suoi frutti: Cristo è con i poveri.



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