La festa a Villa S. Giuseppe
Quando si sbuca in piazza, si vede subito la chiesa che apre le sue braccia verso il paese. Ma per arrivare in cima bisogna passare nella piazzetta, dove tanti bambini e adulti hanno giocato per molti anni. Ci sono ancora i segni sui muri. Qualche pallone è finito nella vasca della cappella della Madonna. Qualche altro si è scontrato con l'angelo del monumento a don Rossetti.
In quella piazza si vive la festa d'agosto, che anche oggi insieme condividiamo. È bello tornare indietro con i ricordi, soprattutto chiedendoci chi festeggiamo e insieme a chi.
La piazza e S. Giuseppe
La piazza è il luogo della vita di tutti i giorni. Anche S. Giuseppe, dopo una dura giornata di lavoro, passava un po' di tempo nella piazza di Nazareth per chiacchierare con i suoi amici. Quante volte ha ripercorso quei sogni in cui Dio gli diceva qualcosa che lui non s'aspettava. Poi il giorno del matrimonio con Maria: la festa. Finché un giorno nasce Gesù, e lui si fa tante domande: si chiede perché Dio gli ha chiesto di realizzare qualcosa di speciale.
I suoi amici non capivano bene tutto, ma guardandolo negli occhi, vedevano che era contento. Quando parlava di Maria, sua sposa, utilizzava parole d'amore. Capiva bene che la vita di ogni giorno non sempre è rose e fiori, ma lui si metteva al servizio di Gesù, di Maria e di tutto il paese. Da dove gli veniva quella forza?
La scala della chiesa
Guardava verso Dio, pregava, leggeva la sua parola, ma non si dimenticava dei problemi di ogni giorno. Sapeva che le famiglie hanno tanti problemi: lavoro, concordia, casa... Vedeva che c'erano sempre meno figli, che era difficile volersi bene, perdonarsi, comprendersi. Il rispetto, l'amore di ogni giorno diventava più difficile e l'egoismo si faceva largo. Perché innaffiare gli aranceti quando si possono comperare le arance al supermercato? Perché lavorare, quando possono farlo gli altri?
Giuseppe salendo la scala della chiesa si chiedeva come aiutare i suoi amici e tutti quelli del suo paese, anche quelli che erano andati lontano, per mettere Dio nel loro cuore. Guardava in giù e faceva fatica a capire i loro discorsi, perché ognuno pensava agli affari suoi. Aveva paura che qualcuno facesse morire l'amore, aveva paura della morte e dell'indifferenza. Si sentiva vecchio, quasi inutile, ascoltando e vedendo come vivevano. Ma una speranza, una certezza gli erano rimaste. Era salito su quella scala non da solo, ma con Maria e Gesù.
Parole difficili da capire
Ed era arrivato alla chiesa (sinagoga), a quel luogo di preghiera. Aveva sentito la gente cantare, ascoltare la Parola di Dio e partire in processione per farlo conoscere a tutti. Si era seduto all'ultimo banco in fondo e aveva sentito delle parole speciali. Qualcuno diceva che quello non era più il pane e il vino, ma erano diventati il suo Corpo e il suo Sangue. Parole strane, difficili da capire per chi frequenta Dio solo ogni tanto. Ma Giuseppe aveva preso l'abitudine di respirare con lui, aveva portato la sua acqua. E poi: cos'era? O meglio: chi era? Era Colui che aveva sempre avuto vicino, che Maria, nel progetto di Dio, gli aveva chiesto di far diventare grande, di insegnargli un lavoro.
Con Gesù e Maria si sta meglio
Ormai era sera e cominciava a chiudere gli occhi. Il suo corpo era stanco, ma il suo cuore era pieno di gioia. Si sentiva pronto per il viaggio, per andare a dire a tutti che stare insieme a Gesù e Maria rende felici. Se lo lasciamo entrare in casa nostra, i problemi diventeranno piccoli. Se lo condividiamo con gli altri, i muri cadono e inizia l'amicizia e il rispetto. Insieme a lui si può costruire qualcosa di bello.
Ogni anno portiamo in processione san Giuseppe, lo facciamo ballare, gli facciamo vedere i fuochi e le nostre case.
Siamo contenti che lui sia il nostro patrono. Allora quest'anno facciamogli vedere anche che cosa c'è in fondo al nostro cuore!