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L’ho conosciuto così… Ricordi indonesiani su p. Bruno Spina

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Padre Bruno Spina, saveriano di Muravera, è morto il 6 luglio scorso all'età di 72 anni presso la casa madre di Parma, dov'era in cura da qualche anno. Padre Franco, suo compagno di missione, ne descrive alcuni tratti personali che lo distinguevano.

Il 18 giugno del 1966 salgo sulla nave "Santa Maria" e dopo 15 ore di navigazione arrivo di notte a Sikakap nelle Mentawai, mia prima destinazione missionaria, accolto dal vescovo mons. Bergamin, da p. Bruno Spina, rettore della missione, e dalle sorelle Rosy e Angela. Non conoscevo p. Bruno e quel giorno non ho avuto neppure il tempo di parlargli. Salutandomi prima di partire per Padang, mi dice soltanto: "Impara la lingua presto, perché io...".

L'aspetto di un asceta

Di lui si diceva: "È un uomo di studio, conoscitore del Diritto, futuro segretario del vescovo". Persona stimata, dunque, e forse fuori posto in quelle isole sperdute. Dopo averlo conosciuto, nel mio diario ho scritto: "È sardo, di madre iugoslava, alto e curvo di spalle, magro, capelli cortissimi, silenzioso e di pochi sorrisi. Denota un continuo controllo su se stesso e sui suoi atti, molto riservato e secco nelle sue risposte. Insomma mi pare un asceta".

Come per tutti, c'erano in lui aspetti belli e brillanti e alcuni meno simpatici. Non c'è da meravigliarsi pertanto se tra noi ci sono state alcune normali divergenze sulle scelte del metodo di evangelizzare e come mantenere i rapporti umani con la gente delle isole Mentawai.

Severo, ma sensibile

Padre Bruno studiava la lingua locale con assiduità, ma parlava in indonesiano, la lingua nazionale conosciuta solo da una piccola elite di fedeli. Faceva osservare giustamente che in un futuro tutti avrebbero parlato la lingua nazionale e perciò esigeva che fosse insegnata e parlata anche nelle Mentawai.

La sua riservatezza gli ha creato alcune difficoltà di relazione con gli indigeni. "Padre Bruno - scrivevo - avverte la distanza che si è creata con il popolo mentawaiano e soffre molto. Sotto una certa semplicità, domina in lui uno spirito severo, soltanto apparentemente insensibile. Non si arrabbia, non dice "no" a eventuali proposte, non discute, non presenta obiezioni o difficoltà, ma tiene poco conto delle opinioni altrui. È cosciente della situazione e ne soffre".

Un commosso "arrivederci"

Con il tempo, p. Bruno ha il coraggio di mitigare il suo carattere. Prepara lezioni di catechismo, proietta filmati con la spiegazione in lingua mentawaiana, collabora all'introduzione della Messa in lingua indigena. Rinunciando ai suoi studi, comincia a visitare i villaggi rimanendovi anche tre giorni, come a Matobe, il primo villaggio convertito al cattolicesimo.

Quando è chiamato a Padang per dirigere il seminario, mostra il suo vero animo; mi ha sorpreso la sua commozione nel dirci "Arrivederci!". Nel 1971 ci siamo lasciati e non ci siamo più rivisti. Padre Bruno è stato fedele sempre alla sua missione indonesiana, svolgendo varie mansioni. La sua fedeltà rivela quanto l'amasse.

Ti ho voluto bene!

In una mia recente visita nella casa madre a Parma, ho chiesto a un vicino di tavola dove fosse p. Bruno. Mi risponde: "Non l'hai visto? Era proprio di fronte a te!". Che vergogna! La malattia stava facendo il suo corso, ma io avrei dovuto riconoscerlo!

Caro p. Bruno, il cambiamento prodotto in te fu sicuramente frutto di volontà corroborata dalla grazia del Signore. L'ho scoperto in quel tuo cercare Cristo quando, con la lampada a petrolio, scendevi in chiesa di notte, al buio e nel silenzio assoluto, e ti prostravi in adorazione davanti al tabernacolo. Con Lui hai portato la tua croce, scoprendo il modo d'agire di Cristo, tuo modello. Prega per me e sappi che ti ho voluto bene e ammirato.



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