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L’avventura: Saverio aggrappato a Dio

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Verso le Molucche, i rischi del viaggio

Da San Thomé in India, Saverio attraversa l’oceano fino a Malacca, non lontano dalla moderna Singapore. I portoghesi l’avevano conquistata nel 1510 e vi avevano costruito il porto commerciale più importante dell’Oriente. Il suo piano evangelico era di puntare verso Macassar, al nord dell’isola di Celebes,. Per la sua forma, l’isola assomiglia a una grande orchidea frastagliata, santuario privilegiato dei pirati.

I portoghesi la chiamavano il “luogo degli infami”. Il missionario aveva sentito che la gente dell’isola era disposta a diventare cristiana.

Alla fine, si arrende e cambia il piano

A Malacca, Saverio deve aspettare 3 mesi e mezzo per il monsone favorevole. Prende alloggio nell’ospedale. Ne approfitta per scrivere alcune lettere ai “compagni” gesuiti in Europa e in India. Ma poi, come al solito, trova un gran daffare, per cercare di portare i portoghesi entro i limiti di una vita cristiana decente. Confessa gli infermi, celebra Messa per loro; la domenica predica in chiesa; ogni giorno insegna le preghiere ai bambini. Ma la sua preoccupazione maggiore è tradurre le orazioni nella lingua parlata a Macassar. Afferma: “È una faccenda assai penosa non conoscere la lingua”.

Da qui rinnova l’appello di “inviare tutti gli anni molti compagni, poiché vi è grande scarsità, e che siano molto sperimentati”. Dà perfino istruzioni pratiche: “portino tutto il necessario per dire Messa e i calici siano di rame, poiché è metallo più sicuro dell’argento per noi che andiamo fra gente non santa”. Meglio non dare occasioni a... mani furtive!

Purtroppo, Saverio deve abbandonare il piano originario. Nella lettera ai compagni di Goa (del 16 dicembre 1545), scrive di aver ricevuto “notizie non tanto buone” di Macassar. Decide perciò di andare ad Amboina, un’isola a sud delle Molucche, “dove i cristiani sono molti e ancora più sono coloro disposti a diventarlo”. Lo spinge non solo il desiderio di ravvivare la fede dei cristiani e di diffondere la fede in Cristo, ma anche il desiderio di conoscere personalmente “le buone disposizioni della gente e il frutto che se ne può trarre”, per poi indicare agli altri missionari dove potranno “maggiormente servire Dio e far accrescere la fede”. Non per sentito dire, ma in base all’esperienza fatta da lui stesso.

Sperando solo nel Creatore

Da Malacca, il Saverio parte i primi di gennaio 1546, con una nave diretta alle piccole isole di Banda per fare il pieno di spezie. Il viaggio dura un mese e mezzo, costeggiando le isole di Sumatra, Giava, Bali, Sumbawa e Flores, per poi risalire verso nord. Approda ad Amboina il 14 febbraio 1546 e si ferma tre mesi; altri tre mesi si fermerà al ritorno.

Saverio stesso racconta le peripezie del viaggio. “Durante il viaggio mi sono trovato in molti pericoli, sia per le tempeste del mare sia per i nemici. Soprattutto quando eravamo su una nave di 400 tonnellate, abbiamo navigato con il vento forte toccando sul fondale con il timone. Se urtavamo negli scogli, la nave si sfasciava; se trovavamo meno acqua, restavamo in secca. Ho visto molte lacrime su quella nave...”. C’erano poi le temute apparizioni dei pirati, come quando, ormai prossimi ad Amboina, due imbarcazioni si erano avvicinate con intenzioni... non chiare.

Lo stato d’animo del Saverio era fiducioso: “Sperare solo nel Creatore, la cui mano potente ci rende forti, quando riceviamo i pericoli per amor suo”. Ogni missionario sa quanto sia vero ciò che egli afferma, con intuito profondamente umano: “Passati i pericoli, l’uomo non sa raccontare ciò che ha provato in quei momenti, anche se ne conserva impressa la memoria”.

Oggi ad Amboina, il luogo più significativo per noi è il villaggio di Soyas Atas, sulle pendici del monte Gunung Sirimau, a 950 metri di altezza. Vicino alla chiesa, i protestanti hanno costruito un modesto monumento: su una lastra di pietra è incisa l’isola di Amboina, circondata dal mare azzurro. Dal centro dell’isola si alza una colonna con il busto del Saverio che guarda verso le Molucche. L’iscrizione ricorda l’anno dell’arrivo del santo sull’isola: 1546.

Sui monti, visitando i “nidi d’aquila”

Saverio e l’amico Juan devono aver abitato una casetta sul mare, costruita su pali e coperta di foglie di palma. Vicino, una piccola chiesa, sullo stesso stile. Da lì, devono aver ammirato i paesaggi d’incanto, con la sabbia limpida e il mare trasparente. Gli abitanti vivevano di pesca, di caccia e dei frutti delle grandi foreste.

I primi cristiani dell’isola erano stati battezzati nel 1538 da un cappellano della flotta portoghese, accorsa a dare una mano ai capi locali contro i giavanesi e i musulmani che volevano controllare l’isola. Ma poi erano rimasti “senza pastore”.

Egli cerca di fortificare la fede dei cristiani, affrontando ogni difficoltà. Alcuni villaggi sono arroccati sui monti come “nidi di aquila”, con le casupole una sull’altra; altri sono nascosti nel fitto bosco, con sentieri da aprire e serpenti da tenere d’occhio... L’accompagna il giovane Manuel, figlio di un capo del posto, che gli fa da interprete.

Il suo programma è semplice. Manuel lo precede tra le viuzze, portando la croce; altri ragazzi si uniscono alla comitiva, man mano che vanno di casa in casa, domandando se ci sono infermi o bambini da battezzare. In casa, i ragazzi recitano il Credo e i Comandamenti. Il missionario legge qualche frase del vangelo, benedice gli infermi, battezza i bambini. Alla fine, riunisce bambini e adulti per insegnare le preghiere e le verità della fede.

Manuel non dimenticò quelle giornate passate con il Saverio.

Divenuto lui stesso capo del luogo, protesse i cristiani di Amboina durante le persecuzioni degli anni 1558-1561. Ha raccontato: “Io sono un amboino di bosco; non so spiegare cosa significa essere cristiano o chi è Dio. Ma so una cosa, che mi diceva padre maestro Francesco: che è bene morire per amore di Gesù Cristo, e solo questo mi dava coraggio e forza per lottare fino alla morte”.



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