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L’armonia alla base della vita sociale

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Il Giappone vive il dramma dei cosiddetti Paesi sviluppati. In questa espressione, il termine sviluppati si riferisce alla dimensione economica della vita sociale, ed erroneamente viene preso in senso generico, come riferimento alla cultura e alla dimensione morale della vita umana presa nel suo insieme. In realtà, lo sviluppo economico non sempre e non necessariamente porta con sé uno sviluppo culturale e morale dei popoli. Paradossalmente, sembra quasi avvenire il contrario, ossia un’involuzione culturale e morale inversamente proporzionale alla crescita economica. 

In questo contesto, il Giappone attraversa, come l’Italia, una preoccupante diminuzione delle nascite e degli stessi matrimoni. Ciò rivela una concezione individualistica della vita e dei suoi valori, che inevitabilmente preclude una vera crescita morale. Il fenomeno dell’alto numero di suicidi, anche di giovani, il fenomeno preoccupante di molti che si chiudono nella solitudine della loro piccola camera (=hikikomori), ma anche il fenomeno dell’allontanamento dalla pratica religiosa (shukyobanare), trasversale quanto all’appartenenza religiosa e comune tra i giovani, sono indici di una condizione sociale patologica.
È questa una visione parziale del complesso fenomeno sociale di un Paese. Ma, anche se non si deve generalizzare, occorre avvertire la presenza di fattori disgregatori nell’attuale vita sociale sempre più dominata dai mezzi meccanici, elettronici, robotici... 

Occorre evitare però di cadere nel gioco della “macchia nera sul foglio bianco”, ossia dare un giudizio globale a partire da un fenomeno per fortuna ancora limitato rispetto all’insieme della popolazione giapponese e dei suoi valori: l’armonia sociale, il rispetto reciproco, la sobrietà di vita, la laboriosità, la compattezza e dinamica di gruppo, che fanno da volano all’attività economica ma anche alla vita sociale del Paese.

L’armonia è alla base della vita sociale giapponese. Già formulata come primo principio nella celebre Costituzione dei 17 articoli del Principe Shotoku, nel secolo 6°-7°, essa è la forza che anima e guida, quasi come istinto collettivo, la società giapponese. La collettività viene prima dell’individuo, o meglio, l’individuo trova la sua realizzazione nel ruolo complementare e interattivo che ciascuno svolge nella società. Cosi, la psicologia del lavoro, per i giapponesi, diventa quella del “gioco di squadra”, con un senso di soddisfazione psicologica e anche un reddito concreto a livello di produzione economica che hanno reso il Giappone una della società più efficienti, ordinate, esenti da conflitti interni, sul piano nazionale, e più competitive, stimate e apprezzate sul piano internazionale.

È in questo contesto socio-culturale che si colloca il nuovo dinamismo del dialogo interreligioso in Giappone.  Esso costituisce, in un certo senso, il terreno umano che favorisce il rispetto reciproco e la coesistenza pacifica delle diverse tradizioni religiose, ma anche, in un altro senso, un limite ad un confronto spirituale coraggioso e foriero di novità, di balzi in avanti inediti e innovatori.
La Chiesa cattolica s’inserisce con la sua non facile missione di essere al tempo stesso Chiesa Giapponese, ossia comunità di discepoli di Cristo inserita nella storia e nella cultura di questo Paese, e Chiesa Cattolica in Giappone, fedele al messaggio del Vangelo di Cristo rivolto a tutti i popoli e all’universalità della sua visione del mondo.

Se la forza sociale del popolo giapponese sta nell’armonia che unisce strettamente e rende interdipendenti i suoi membri, questa ha come rovescio della medaglia una certa difficoltà a relazionarsi, connettersi, interagire con altri popoli o culture. È questo un punto delicato. E qui si inserisce la missione della Chiesa Cattolica. Essa è chiamata ad aprire anche umanamente il popolo giapponese ad un rapporto di armonia universale che includa tutti i popoli. Questo “respiro cattolico” è certamente un apporto prezioso che il Vangelo di Cristo può portare al Giappone.



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