Indonesia: una nazione, molti popoli
Missionario anche in ambiente ostile
Padre Franco Qualizza, saveriano di Cernetig di Stregna (Udine), è missionario in Indonesia dal 1977. Ha trascorso tre mesi con i suoi familiari per un po’ di riposo. Ci racconta della sua vita attuale, dopo essere stato per sei anni superiore dei saveriani.
Ho trascorso gli ultimi sei anni a servizio dei saveriani che vivono in Indonesia. Dopo aver frequentato un corso per i ministri della Parola nelle Filippine, a Natale ho ricevuto il grande dono di potermi impegnare nuovamente nell’attività missionaria diretta.
Ora sono davvero felice di essere in contatto con la vita della gente, con le loro gioie e con i loro problemi. Mi aiuta a vivere i valori del vangelo e a testimoniarli nell’ambiente islamico in cui noi missionari ci troviamo, insieme alla comunità cristiana.
Una comunità cristiana piccola e varia
Mi trovo nella missione di san Francesco d’Assisi a Padangbaru, una delle tre parrocchie della città di Padang, nella grande isola di Sumatra. La parrocchia si estende dal centro della città fino ai paesi e alle cittadine situate lungo la costa, per circa 80 chilometri verso nord. In questa missione, oltre alla chiesa parrocchiale e al suo complesso da poco rinnovato, ci sono altri due centri minori in cui i cristiani possono svolgere le loro attività, con la scuola e la chiesa.
I cristiani sono una piccola minoranza: appena 4.500 su oltre un milione di abitanti, quasi tutti di religione islamica. Per lo più, i cristiani sono immigrati provenienti da diversi gruppi etnici delle isole vicine: mentawaiani, cinesi, batak, giavanesi, nias, floresani. Non essendo parte del gruppo etnico locale, i cristiani sono facilmente emarginati nel campo politico, sociale ed economico.
Rapporti difficili
Il popolo originario della regione sono i minangkabau: un grande gruppo etnico, famoso per l’attaccamento alle proprie tradizioni e usanze. Seguono il matriarcato, hanno adottato l’islam come la loro unica religione e considerano la terra come proprietà del clan. I minangkabau esercitano un’influenza considerevole anche a livello nazionale per la loro intraprendenza, ricchezza e sviluppo culturale.
Le relazioni tra i cristiani, provenienti da altri gruppi etnici, e i minangkabau musulmani del luogo non sono state mai veramente “cordiali”. Non si può dire che la gente non sia buona, tuttavia i capi religiosi musulmani, che spesso coprono anche funzioni civili, incoraggiano spesso la popolazione a comportamenti ostili ai cristiani e alle loro attività.
Anche i mezzi di comunicazione della zona - radio, televisione e giornali - cercano ogni pretesto per accusare la chiesa di proselitismo. È proibita la costruzione di edifici a scopo di riunioni e assemblee religiose, mentre pullulano ovunque le moschee. In certi luoghi non è permesso ai cristiani nemmeno riunirsi in case private per la preghiera o per i loro riti religiosi.
Abbattere le barriere
La colonizzazione subita in passato sembra aver ferito profondamente queste popolazioni. Le ferite tardano a rimarginare; c’è un’avversione crescente verso l’occidente e anche verso la religione cristiana che è arrivata in Indonesia tramite l’occidente. Allo stesso tempo, si nota anche un senso di inferiorità e di invidia verso l’occidente che ha raggiunto livelli di benessere e di libertà sociale che per loro restano ancora miraggi lontani.
Le scuole cattoliche e l’ospedale cattolico del luogo sono attività che aiutano la convivenza pacifica e il dialogo interreligioso. Hanno svolto e continuano a svolgere un ruolo importante nel rompere le barriere e i pregiudizi esistenti tra cristiani e musulmani.
Molti musulmani locali studiano nelle scuole cattoliche e molti di essi sono aperti, rispettosi e riconoscenti per la formazione che ricevono.