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Giuseppe Mauri, Il missionario della fraternità

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Ricordando padre Giuseppe Mauri

Il 15 aprile 2004 a Tavira in Mozambico, in un incidente stradale, è morto p. Giuseppe Mauri. Aveva 51 anni; era nato a Ronco Briantino (MI) il 14 ottobre 1952. Padre Giuseppe decise di diventare saveriano dopo avere ascoltato all’oratorio di Paina (MI) p. Bruno Marchetti. Iniziò il suo iter formativo ad Alzano quando aveva 11 anni; a Nizza Monferrato nel 1971 fece il noviziato; nel 1980 fu ordinato sacerdote a Parma.

Dal Congo al Mozambico

Partì per il Congo dove lavorò sei anni in stretta collaborazione con i missionari laici. Dal 1989 al 1993 diventò responsabile dei saveriani in Gran Bretagna. Svolse quest’incarico con impegno, ma lo sentì gravoso perché gli rendeva difficile vivere “i tre valori che mi hanno sempre sostenuto e dato vita: l’assiduità alla parola di Dio, una vita di comunità intensa, il condividere la vita della gente”.

Alla fine del 1997 accolse volentieri la destinazione alla prima missione saveriana in Mozambico. Il suo progetto era quello di fare missione in comunità con i laici, perché diceva che questa “offre una maggiore ricchezza ministeriale e vocazionale”. Ha lavorato a Chibututuine insieme ai laici formati al centro fraternità missionaria di Piombino, impegnandosi molto nella pastorale, nell’insegnamento e nella cooperazione per risolvere i problemi della ricostruzione del Mozambico.

Una vita con la gente

Padre Giuseppe aveva un carattere schivo; non amava raccontare di se stesso o apparire in prima persona. In pubblico, erano proverbiali le sue battute ironiche e sorridenti. Ma non offendeva mai nessuno e in sua compagnia si stava bene.

Nella sua vita missionaria, prima in Congo e poi in Mozambico, padre Giuseppe ha continuamente cercato di vivere il più vicino possibile alla gente, con semplicità e sobrietà. Cercava la compagnia della gente, per incontrarla nella vita quotidiana, per conoscerla, per imparare e per donare se stesso, a volte fino ad essere incompreso. Quante lingue aveva imparato proprio per testimoniare la fraternità con la gente!

Solidale con i poveri

Padre Giuseppe è stato un vero annunciatore, prima di tutto mettendo in pratica la parola di Dio nella propria vita. Aveva una capacità speciale di ascoltare la parola di Dio e la vita della gente, illuminando l’una con l’altra, così da suscitare speranza e desiderio di vivere da figli e figlie di Dio.

Soffriva quando vedeva le persone infelici perché, non avendo interesse all’annuncio di Gesù, conducevano una vita priva di valori. Padre Giuseppe era attento alla solidarietà, ma non l’intendeva come beneficenza che si impone dall’alto.

Lui voleva “prendersi a cuore” la situazione, rendendo protagonisti i poveri e i bisognosi di aiuto. Non strafaceva per rispondere a tutto, ma aiutava ognuno a maturare e a impegnarsi.

Esponeva i problemi che vedeva, e che altri non avevano ancora notato, e confrontava con gli altri collaboratori le sue intuizioni, nell’attesa di poterle realizzare pazientemente con la gente del luogo.

Una fraternità duratura

Emma Gremmo, della Fraternità missionaria di Piombino, lo ricorda così: “Malgrado il suo carattere riservato, era l’uomo della gioia, espressa nel suo continuo sorriso, nel tono scanzonato. E la sua gioia si traduceva in rapporti di amicizia e di fraternità.  Non era l’uomo che sbancava con la simpatia al primo impatto… anzi!

La sua gioia e la sua fraternità si imponevano poco alla volta, per questo la stima e l’affetto che si guadagnava erano duraturi. A Chibututuine e a Maputo era molto amato, riconosciuto, ricercato e rispettato, anche per la sua esperienza e maturità. Noi crediamo proprio che “fraternità” potrebbe essere la sua parola distintiva”.

La morte di Giuseppe non è stata da “eroe”; è morto in un incidente stradale, come tanti. Il suo eroismo era stato vissuto prima e con fedeltà, fino all’ultimo momento: l’eroismo e la croce di una vita donata fin da ragazzo al Signore.



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