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In visita ai saveriani: Un pellegrinaggio voluto in Sierra Leone

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Quando una persona intraprende un viaggio, c'è sempre un motivo. Lo stesso vangelo e la Bibbia ce lo confermano. Basta pensare al viaggio di Maria alla cugina Elisabetta o, secoli prima, al viaggio di Mosè verso la Terra promessa o al viaggio intrapreso da Abramo...

Promessa mantenuta

2008 11 Casula1Noi volevamo fare questo viaggio perché la comunità di Guasila è legata in modo particolare alla famiglia saveriana. Già con p. Ivaldo Casula e p. Luigi Caria, due missionari nativi di Guasila e trapiantati in Sierra Leone, si pensava a una nostra visita nelle loro missioni in modo da poter vedere personalmente e renderci conto dei loro sacrifici, oltre a sostenerli maggiormente nella loro missione.

Tuttavia i nostri programmi sono dovuti cambiare. Il 5 aprile del 2007, giovedì santo, padre Ivaldo improvvisamente ci lasciava e la salma veniva sepolta nel piccolo cimitero accanto alla casa saveriana di Makeni, dove lui ha vissuto gli ultimi anni. Quindi il viaggio da parte della sorella e di un amico per inginocchiarsi davanti alla sua tomba era un pellegrinaggio dovuto.

Guasila ha dato alla famiglia saveriana tre suoi figli: p. Luigi Caria, p. Walter Giua e p. Ivaldo Casula. Ma questo non è l'unico motivo che ci lega in modo particolare ai saveriani. Essi infatti, sessanta anni fa, decisero di aprire la loro prima casa in Sardegna sulle fondamenta poste proprio da un nostro concittadino.

Una realtà incomprensibile

Padre Luigi, nel periodo di permanenza a Guasila, ci ha preparato adeguatamente su tutti gli aspetti, sia dal punto di vista organizzativo (visti di ingresso, biglietti di viaggio e bagagli), sia dal punto di vista preventivo (vaccinazioni contro eventuali malattie). L'entusiasmo per la partenza era grande. Tutta la comunità guasilese era coinvolta con diverse iniziative volte a racimolare il più possibile da portare con noi. Numerosi erano coloro che chiedevano una preghiera a loro nome sulla tomba di p. Ivaldo.

Nonostante fossimo preparati, anche grazie a filmati e fotografie, e sapessimo di giungere in un paese del cosiddetto "terzo mondo", classificato dall'Onu come il più povero, vista da vicino la realtà del luogo è incomprensibile per persone come noi, abituate al benessere e a ogni tipo di comodità.

Immagini ed emozioni

Non dimenticheremo i bambini denutriti e malati di tubercolosi che riempivano le povere stanze con lettini in ferro e legno, ammucchiati in grandi cameroni con acri odori e scarsa igiene, dove solamente il sorriso di una giovane suora di madre Teresa cercava di alleviare le sofferenze e la fame.

Non dimenticheremo le colonne di bambini e fanciulle con il carico di legna, frutta o bidoni d'acqua sulla testa, che si spostavano di villaggio in villaggio cercando di vendere i propri prodotti. Sono ancora vivi nella nostra memoria i volti di chi, carico della propria tristezza, si recava in cerca di aiuto da p. Caria, sempre pronto a dare qualcosa, soprattutto una parola di incoraggiamento e conforto.

Ricordiamo i volti cosparsi di lacrime dei giovani che ci hanno accolto nel "Fatima institute", l'università a cui p. Ivaldo si era tanto dedicato per garantire loro un futuro, accudendoli passo dopo passo nel cammino di crescita culturale e sociale. Commossi al ricordo del loro maestro defunto, ci hanno insegnato lo slogan che tutti i giorni ripetevano insieme, nella speranza di costruire una società fondata sul rispetto reciproco e sull'amore verso il prossimo: "la dignità della persona umana".



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