Il pioniere delle Mentawai, La missione di p. Calvi continua
L'avventura missionaria di p. Angelo Calvi era iniziata nell'oceano pacifico quando, insieme a suo fratello, padre Piero, sono stati i pionieri delle isole Mentawai, in Indonesia. Per un certo tempo furono gli unici cristiani in mezzo a una popolazione ancora primitiva che poteva aprirsi al vangelo.
Tornato in Italia, p. Angelo ha scelto di consacrarsi per anni ad ascoltare preti e laici, sia in Svizzera che nei paesi lungo il lago di Como. Numerose testimonianze ci ricordano che ha consolato tante persone. Padre Angelo è salito al cielo venerdì 11 maggio all'età di 92 anni. Lo ricordiamo in questa pagina.
Padre Franco Bertazza si è recato nel paese natale di p. Angelo, Corte de' Frati (CR), per ricordare l'amico, davanti ai parrocchiani riuniti per l'ultimo saluto. Ha ripercorso tutta la sua vita, sottolineando i momenti più salienti nei quali in qualche modo è entrato in contatto con i fratelli Calvi. Ben stampato nella memoria di p. Franco è il primo incontro quando Pietro e Angelo sono stati ordinati sacerdoti e hanno celebrato la loro prima Messa a Corte de' Frati, così come è vivo il ricordo del loro ritorno dalle Mentawai, che suscitò un entusiasmo straordinario nella comunità degli studenti e dei missionari di Cremona. Questo episodio lasciò nel cuore di p. Franco un desiderio quasi assopito di missione che divenne decisione: le Mentawai saranno la sua meta.
Per cattedrale una palafitta
Padre Franco continua nei racconti. "Un gruppo di mentawaiani di Sikakap invitarono p. Angelo a fondare la religione cattolica nella loro isola. Così, lasciata Siberut dopo quattro anni di permanenza, con p. Patacconi giunse a Sikakap il 16 dicembre 1958. Acquistarono dai sasareu, commercianti di Sumatra, una baracca di legno sulle acque del mare. Pensavano che quella tana sarebbe stata una permanenza provvisoria, nido di topi e di bestie insidiose, infestata da zanzare micidiali. Vi rimasero, da veri eroi-martiri, per due anni fino al 1961.
Quella palafitta fu la loro cattedrale dove ogni giorno celebravano il loro e il sacrificio di Cristo per la conversione dei loro amici. L'Eucaristia è la forza del missionario. Là contrasse la malaria tropicale che lo perseguitò più volte fin quasi alla morte. Dovette rimpatriare nel 1965 con quella stessa nave Vittoria che aveva portato anche me in Indonesia".
Il missionario simareu
"Che cosa significava a quel tempo il nome Mentawai? Un lembo di paradiso perduto per alcuni, la morte civile per altri. Dei beni che i missionari avevano in patria non c'era neppure l'ombra: non filo di rete, né ago, non filo di ferro, pane e riso, non pentole o padelle, non tavoli, sedie, giornali o libri, non scuole, ospedali, medici o vestiti (perizoma di corteccia d'albero per gli uomini e gonnellino di foglie per le donne). Compagna inseparabile era la solitudine del cuore e della mente.
A Sikakap conobbi direttamente dai mentawaiani quanto loro stessi stimassero e amassero p. Angelo, il simaeru, il buono, il bello che sapeva parlare la loro lingua imparata senza grammatica e testi scritti. Era questa la maggior lode che un mentawaiano potesse fare di uno straniero: parlare la loro lingua, non quella degli stranieri e dei conquistatori. Durante i primi mesi di missione pensavo di non riuscire a rimanere e ripetevo la frase di S. Agostino: se ce l'ha fatta p. Angelo perché io no?
Quando lasciò Sikakap nel 1964, l'isola contava quasi 500 cattolici che si sono raddoppiati sette anni dopo".