Il diritto di morire in pace: Perché non "accanirci" per la vita di tutti?
Accanirsi: "ostinarsi con rabbioso impegno, come i cani sulla preda, persistere in un'azione". Accanimento terapeutico: "trattamento insistente per prolungare la vita al malato". Così dicono i vocabolari. C'è un misto di rabbia e di bontà, di testardaggine e di affezione, di cui anche il cane - noto amico dell'uomo - è capace.
Ultimamente, questi vocaboli sono stati usati e abusati, insieme alle insistenti immagini di Piergiorgio Welby, questo nostro fratello attorniato da persone che lo amavano, da mani che lo accarezzavano, da medici che lo assistevano. Il caso è delicato e complesso. Si parla del diritto di tutelare la volontà del malato, del diritto di non soffrire e di decidere di non curarsi. Welby riteneva che non valesse la pena vivere, in quelle condizioni. Ha chiesto che venisse staccata la spina che lo teneva in vita.
Qualcuno ha detto che "ha ottenuto ciò che ha chiesto": il diritto a morire.
Nessuno ha il diritto di interrompere la vita, propria o altrui. Capiamo la sua sofferenza profonda e continua, stressante. L'immobilità forzata è un martirio prolungato. Accettare il dolore è puro eroismo, dono e grazia di Dio, esempio massimo di amore alla vita, impreziosita dalla speranza impotente. Grazie a Dio, Welby aveva a disposizione i migliori mezzi moderni della tecnica a servizio della vita. Speravo che ci ripensasse e restasse tra noi, per aiutarci ad apprezzare il nostro stato di salute, la nostra capacità di stenderci sul letto e alzarci, quando e come vogliamo...
Milioni di persone al mondo hanno la massima voglia di vivere. Eppure sono condannate a morte, lenta e certa, per fame e malattia. Non hanno accesso ai beni della vita, neanche ai più elementari e necessari: cibo, assistenza, medicine... Sono avviate allo spegnimento, senza essere proiettate in tv. Piangono, tendono la mano, gli sguardi supplicanti... ma nessuno attacca la spina per conservarle in vita.
Vogliono vivere e guarire, e le lasciamo morire. Mentre tonnellate di cibo e di medicine finiscono nei cassonetti e nelle discariche, a fecondare o inquinare la terra. Non è questo un "accanimento" mortale, un'ostinazione nell'indifferenza? La morte lenta di milioni di poveri non è normale. Non è un fenomeno di natura, una tragica sorte che "tocca a chi tocca". Abbiamo i mezzi per porre rimedio; manca solo la volontà politica di farlo.
Abbiamo il dovere di tutelare la volontà del malato a guarire; la voglia dell'affamato a mangiare; la brama dell'assetato in cerca di acqua. Abbiamo il dovere di non lasciar morire chi, pur volendo vivere, non ce la fa perché qualcuno, in qualche parte del mondo, ha deciso di destinare i fondi più alla guerra che alla pace, più allo spreco del consumo di alcuni che alla salute di tutti.
Forse non è del tutto strano che i poveri abbiano una gran voglia di vivere, e chi ha i mezzi per vivere ancora chieda di morire.
È questione di speranza, l'ultima a morire!