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L’avventura di Siracusa

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Siamo partiti con la buona volontà di arrivare a Macerata in orario per raggiungere gli altri amici del gruppo. Ritardi e imprevisti non ci hanno scoraggiato. Una volta riunito il gruppo, via a Roma per prendere l’aereo in direzione Catania.

Il campo estivo era stato preparato con cura da p. Alberto Panichella. A Siracusa ci aspettava l’organizzatrice, una simpatica suora scalabriniana brasiliana, suor Teresina, che ci ha accompagnati al Centro Caritas di Siracusa, nostra sede per qualche giorno. Abbiamo incontrato varie persone che lavoravano per gli immigrati, un’animatrice e un fratello marista. Poi, ci siamo trasferiti nel campo di prima accoglienza, in un villaggio a trenta chilometri da Siracusa, dove erano alloggiati circa cento immigrati. Si trattava di un hotel per turisti un po’ vetusto, in mezzo alla campagna. Gli immigrati avevano varie provenienze (Pakistan, Mali, Guinea, Somalia ed Eritrea). Il primo impatto è avvenuto con il suono dei tamburi: due fratelli africani si sono messi a suonare il tamtam e altri si sono lanciati nelle danze. Siamo entrati così nel clima del campo, condividendo tanti momenti delle loro giornate.

Tutti volevano partire da lì il prima possibile, ma aspettavano con impazienza un documento di riconoscimento della prefettura, senza il quale non si poteva uscire dal campo e andare altrove. Nel frattempo, lì si tenevano corsi di italiano. In più, abbiamo introdotto attività di teatro, canto, musica e pittura, oltre a giochi d’insieme. Spesso cercavamo di parlare con loro e di farci raccontare le storie vissute. Il nostro scopo, infatti, era conoscere la vita, i desideri del futuro e l’esperienza del viaggio verso l’Italia. La maggior parte era passata dalla Libia, dove avevano vissuto sofferenze, soprusi e umiliazioni. Abbiamo cercato di capire anche perché avevano iniziato un viaggio così rischioso. Erano storie di speranze, fatiche, attese interminabili, di sofferenze, ma anche di speranza, sempre con lo sguardo verso un futuro migliore.

Con loro condividevamo i pasti, le serate di amicizia, i giochi, la preghiera e l’ascolto. I musulmani avevano la loro moschea e i cristiani pregavano con noi. Poco alla volta, si è creato un clima di amicizia, anche se la barriera delle lingue spesso ci separava. La direttrice del campo e gli animatori ci hanno manifestato la loro riconoscenza, perché, con le varie attività, abbiamo portato una ventata di gioia nella monotonia della loro attesa impaziente. I giorni sono passati veloci. E l’ultimo è stato il più triste: tutti volevano una foto, ci scambiavamo i numeri di telefono. La serata finale è stata piena di allegria con sketch, musica e un gelato per tutti. Alle 23, siamo tornati alla casa della Caritas di Siracusa.
Tutti i giovani sono stati felici della bella esperienza di fraternità. Essi fuggono dalla povertà e hanno nel cuore una grande speranza. A noi spetta non deluderli con le nostre chiusure.



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