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I Saveriani a Macomer, 50 anni dopo

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Un parroco lo aveva detto in una intervista: "il macumerese si meraviglia del nuovo", ma quel giorno Macomer alla meraviglia aveva aggiunto stupore e sconcerto. Alle casermette di Bonu Trau era arrivato uno strano autocarro carico di masserizie e di "missionari". La gente accorsa a curiosare, nel vedere quella strana gente piena di polvere, con la barba irsuta e con il viso stralunato, si domandava se non fossero zingari o giocolieri ambulanti.

Ma i più "saputi" informavano: "Narana chi sunt missionarios de Tortolì enindos a vivere a Macumerre". "Missionarios? Non parere! Parene pastores de sa Barbagia!". ''No! Custos sun missionarios chi andan cun sa zente!". "E tondo sunt frattes! ".

Frati li battezzarono e frati siamo chiamati a tutt'oggi. I missionari Saveriani approdarono e si stabilirono in Sardegna quasi per puro caso, ma dietro i fatti si possono leggere con grande meraviglia le vie della Provvidenza.

Per puro caso infatti i missionari Saveriani si trovarono a continuare r opera di don Mirto, di Guasila, morto tragicamente nelle acque di Tortolì nel tentativo di salvare alcuni dei suoi allievi. I Saveriani ereditarono quel nido di aquilotti tanto ben avviato e che, rimasto orfano del padre, aveva bisogno di guida per continuare a sperare di volare per lidi lontani.

In seguito, i Saveriani approdarono a Macomer dopo tanti tentativi di trovare una sede più appropriata altrove, come a Quartu, Ghilarza, Alghero e Paulilatino. Erano gli anni del dopo guerra, della ricostruzione e dei grandi ideali. La Chiesa sarda, ricca di energie e di zelo missionario, caldeggiava da tempo la presenza nell'isola di un Istituto missionario. Già nel 1922 mons. Piovella ne aveva fatto esplicita richiesta al Fondatore Guido M. Conforti.

La notizia che i missionari Saveriani s'impegnavano a continuare l'opera di don Mirto intenta a formare nuovi apostoli per la missione, fu benedetta e appoggiata da tutta la Chiesa sarda. L'arcivescovo di Cagliari, mons. Piovella, benedisse il nostro progetto "con tutto il cuore benedico i buoni missionari dell'Istituto di Parma".

Il vescovo di Tempio, mons. Cogonsii augurava che i Saveriani potessero aprire la Casa nella sua diocesi; e anche Sassari, Ales, Iglesias sarebbero stati lieti di ospitare una tale fondazione nelle rispettive diocesi. Il più esplicito fu mons. Felice Beccaro, vescovo di Nuovo: "L'apertura, in Sardegna di una Casa per accogliere e formare futuri missionari sarà una benedizione per l'isola nostra perché riaccenderà quel fervore missionario che in passato animò tanti eroici sardi".

La scelta cadde su Macomer e fu il vescovo Adolfo Ciuchini di Alghero ad accoglierci a braccia aperte il 2 agosto del 1950: "Spinti dal desiderio di favorire nel miglior modo a noi possibile la salvezza delle anime degli infedeli, avendo ricevuto domanda dal Superiore Generale dell'Istituto Saveriano Missioni Estere di Parma di aprire una Casa religiosa a scopo di scuola apostolica, nella diocesi, e precisamente nella parrocchia di Macomer, ben volentieri diamo il nostro consenso unitamente ad una nostra speciale benedizione, perché l'opera delle missioni della nostra diocesi sia sempre più conosciuta, amata ed aiutata e prosperi per la maggior gloria di Dio e salvezza delle anime".

Come un nido di aquilotti a Bonu Trau arrivavano giovani "apostolini" e partivano per le terre lontane missionari barbuti: p. Picci, p. Usai, p. Chiari, p. Guerrini e tanti altri. Bonu Trau era diventato un grande Centro missionario, come un grande alveare. Punto di riferimento della sensibilità della gente di Macomer e dintorni per r opera missionaria. Sembrò ad un certo momento della nostra storia che la gente dicesse "Se voi partite, noi non vogliamo restare".

La collaborazione della gente fu totale e meravigliosa, (come, del resto, lo è ancora). Gli studenti aumentavano ed era sempre tanta la loro fame. Fu di quei tempi l’idea dei sacchetti per la raccolta del grano: "Pane per i missionari". Poi inventarono anche i sacchetti delle fave, dei ceci, la raccolta dei formaggi, degli orci di petrolio.

A questa attività si dedicavano il Gigante buono, p. Narciso Guerini, e il leggendario Fr. Isaia Vidale. A quei tempi molte famiglie di Macomer erano impegnate a rammendare e lavare la biancheria o dare il loro contributo alle pulizie. Poi c'era il "terremoto" di suor Francesca Ibba, cotolenghina e sorella di due Saveriani, che fiutava quali potevano essere le nostre necessità più urgenti e sapeva le tante case di Macomer dove bussare.

La struttura tanto povera come quella di Bono Trau probabilmente non avrebbe potuto durare a lungo, ma fini troppo alla svelta. Noi ci eravamo affezionati a Bonu Trau, quella struttura vicino alla caserma militare ci richiamava in continuazione un pilastro portante della nostra formazione voluta dal Fondatore che ci vedeva sul campo come: "un esercito ordinato e compatto militante agli ordini del vicario di Cristo".

Un giorno arrivò una lettera del ministro Taviani. La lettera conteneva l'ordine di sfratto da Bonu Trau. Fu una sorpresa, un colpo mancino non previsto e quindi anche doloroso. Ma la Provvidenza aveva già messo a punto il piano di pronto intervento. Aveva già ispirato la famiglia Barria, Antonio e Mariantina, a compiere un grande gesto, donare un loro terreno per costruire il nuovo seminario missionario. Era tanto, ma era ancora poco.

Una buona spinta ci venne anche dall'Amministrazione Comunale. In una istanza di vari consiglieri all'allora sindaco si legge: "adoperarsi per porre a disposizione di detto Istituto un adeguato locale a carattere provvisorio, prima che l'Istituto stesso sia costretto a trasferire definitivamente la propria sede a Cagliari o Alghero dove sono stati già offerti idonei fabbricati. Inoltre sollecitare e facilitare in tutti i modi, compreso un congruo contributo alla costruzione in Macomer, in località Sertinu.

Le benemerenze delll’istituto saveriano nell'intero mondo cattolico e non cattolico sono così elevate, ed è talmente vivo il successo ottenuto in circa dieci anni di attività in terra di Sardegna con sede nella nostra città che si ha pienamente fiducia nel fattivo interessamento della S.V. e dell’intera amministrazione (Unione Sarda)".

Più che le logiche e la pianificazione illuminata dei figli di mons. Conforti, fu la grande simpatia della gente a far decidere perché in Macomer si realizzasse la costruzione della Casa di formazione dei giovani missionari. Giorno memorabile fu la posa della prima pietra alla presenza di autorità religiose, civili e militari. Da parte dell'Istituto erano presenti il Superiore Generale e con lui p. Morandi e tanti altri Saveriani. Il fabbricato crebbe con immensi sacrifici.

Erano ancora tempi duri e di miseria eppure moltissimi, da tutta la Sardegna, vollero collaborare. La lista dei benefattori inizia da Cagliari, ma con due benefattori che abitavano in via Macomer. Nella lista ci sono nomi illustri come il sen. Antonio Segni e lo scrittore Emilio Lussu, ma anche tantissima gente comune. L'episcopato sardo e così pure tante parrocchie si unirono alla cordata della generosità. La prima parrocchia che inviò l'offerta fu Sennariolo, la seconda Bortigali e la terza Desulo. L'offerta più consistente fu di L. 10.000, e la più modesta da Antonietta Licheri, L. 50.

Il grande nido degli aquilotti auspicato da mons. Piovella ha dato al mondo missionario e alla Chiesa una cinquantina di missionari sardi, dei quali 8 sono già tornati alla Casa del Padre. Un altro bel gruppo sta lavorando nei paesi di missione. Padre Angelo Lampis di Arbus, fu il primo Saveriano sardo. Noi lo chiamavamo il "missionario brigante" a motivo della sua vita trascorsa con i briganti in Cina. Là si guadagnò anche il nome di Loei Ming Leong, che vuol dire: "Tuono e Luce". Padre Lampis, ritornato in patria dopo 25 anni di Cina, lavorò per alcuni anni a Macomer e della sua gente sarda soleva dire: "Quanto ci vuole bene la gente, è tutta gente buona!".



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