I pastori di Betlemme
“Siamo noi, i pastori di Betlemme; siamo noi che l’abbiamo visto; siamo noi a cui ha sorriso, a cui Maria e Giuseppe hanno detto grazie”. Tutte le notti, nel cielo di Betlemme, si sentiva questa canzone, accompagnata dai cani e dalle pecore. Qualcuno non ne poteva più. Erano mesi che continuavano e non si stancavano. Il vecchio Elia non riusciva a dormire e doveva fare le ore piccole insieme ai suoi nipoti. Una sera, il più piccolo, Giacobbe gli chiese perché i pastori non la smettevano. Elia lo guardò e poi gli disse: “Va in casa, vicino al muro dove ci sono tutti i rotoli, e prendi quello più vecchio; così ti spiegherò perché questi ‘perditempo’ non mi lasciano dormire”. Giacobbe portò il rotolo al nonno. Lo aprì con cautela e cominciò a leggere. Tutti gli altri si fecero attorno a lui. Si parlava di Betlemme, di qualcuno che doveva arrivare e che, secondo i pastori, era arrivato. Ma era un bambino. Loro gli avevano raccontato che una notte un gruppo di angeli era andato da loro. Li aveva invitati ad andare in una grotta vicino al torrente. Presero quello che avevano, dei piccoli doni e si misero in cammino. La grotta era tutta illuminata e si sentivano gli angeli cantare. Entrarono, videro e cominciarono ad essere felici. Diedero i loro doni e qualcosa di nuovo, di strano, entrò nella loro vita. Il più giovane cominciò a cantare e tutti si unirono, formando un coro meraviglioso. Tornarono ai loro pascoli cantando e “a me, ogni sera, mi tocca ascoltarli”, disse il nonno. “Però, sarebbe piaciuto anche a me andare a vedere quel bambino. Se volete, andiamo a trovarli e gli diamo una mano a cantare”.