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LA PAROLA
“Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio” (Lc 6,36-38).

Continuava così il discorso delle Beatitudini: “Amate i vostri nemici, benediteli, pregate per loro”. È stato un martellare di imperativi, ed altri ancora ci aspettano. Ma, nel bel mezzo, c’è un balzo verso l’alto, o meglio, verso l’abisso: “Diventate misericordiosi come il vostro Padre è misericordioso”. “Diventate” (gínesthe), non siate. Ci è concesso il tempo di imparare da Dio, perché non è una cosa che possiamo inventarci da soli. Già dal Primo Testamento, Dio aveva chiesto di essere santi perché Lui era Santo. Gesù ci rivela che la santità di Dio, ciò che lo distingue radicalmente dall’uomo, è la sua misericordia. Il termine usato da Luca traduce la parola ebraica rahamim, che significa viscere, utero. Dio è amore materno, diremmo uterino, perché si sente così toccato dal male commesso dai suoi figli che fa di tutto per liberarli dalle loro schiavitù.

In Dio, ogni nostro limite diventa luogo di accoglienza; ogni male è riscattato dal perdono; ogni abisso di malvagità colmato da un amore infinito. Proprio nel male egli rivela l’assoluta gratuità della sua misericordia di Padre e di Madre. Ecco, Dio è così. Ma come facciamo noi a diventare come lui?
“Smettetela di giudicare, perché solo io conosco il cuore di ognuno; smettetela di condannare, perché state dicendo a tutti cosa non accettate di voi stessi. Invece di condannare, slegate gli altri dalle loro mancanze, perché anche voi vi sentirete liberati da un peso; date con abbondanza, perché alla fine sarà il Padre a piegarsi ai vostri giudizi. Ciò che avrete fatto al fratello, il Padre ve lo ridonerà moltiplicato, nel bene e nel male”. Sono imperativi rudi, crocifiggenti, che spazzano d’un colpo tutte le semplificazioni che anche il cristianesimo ha imposto al concetto di amore.

E queste parole di Gesù non sono solo vere, sono anche possibili. Mi viene in mente ciò che scrisse Antoine Leiris, un uomo che perse la moglie nell’attentato del Bataclan, in una lettera aperta ai terroristi: “Voi avete rubato la vita di una persona eccezionale, l’amore della mia vita, la madre di mio figlio, eppure non avrete il mio odio. Per questo non vi farò il regalo di odiarvi. L’ho vista stamattina. Finalmente, dopo notti e giorni d’attesa. Era bella come quando è uscita venerdì sera, bella come quando mi innamorai perdutamente di lei più di 12 anni fa. Ovviamente sono devastato dal dolore, vi concedo questa piccola vittoria, ma sarà di corta durata. So che lei accompagnerà i nostri giorni e che ci ritroveremo in quel paradiso di anime libere nel quale voi non entrerete mai. Siamo rimasti in due, io e mio figlio, ma siamo più forti di tutti gli eserciti del mondo. Adesso devo andare da Malvil che sta per svegliarsi dal suo sonnellino. Ha solo 17 mesi. Mangerà la sua merendina come tutti i giorni, poi andremo a giocare insieme come tutti i giorni, e per tutta la vita questo bambino vi farà l’affronto di essere libero e felice. Perché alla fine no, non avrete neppure il suo, di odio”.

Con una intuizione bellissima, il filosofo russo Bardiaeff s’immagina che nell’ultimo giorno Dio si rivolgerà ad Abele per sapere cosa ne abbia fatto di suo fratello Caino. E allora Abele risorgerà non per la vendetta, ma per custodire Caino. La terra nuova sarà quando le vittime si prenderanno cura dei loro carnefici. E lì, alla fine, vedremo in volto la misericordia uterina del Padre.



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