Giustizia, Pace per tutti: A proposito del Tribunale internazionale
Sul Tema: Impegnarsi per il mondo intero - Missione e giustizia a confronto
Il Tribunale penale internazionale è ormai una realtà. Il Trattato di Roma, che lo istituiva, è entrato in vigore il primo luglio scorso. In 4 anni, il Trattato è stato firmato da 139 governi e ratificato da 76 paesi. Si tratta certamente di un'occasione storica. E' un tassello in più che viene ad aggiungersi a quel Codice internazionale di condotta sempre più indispensabile e necessario nel nostro mondo globalizzato.
Per questo successo è giusto esprimere profonda soddisfazione. Viene spontaneo pensare alla soddisfazione provata il primo marzo del 1999, quando le campane di mezzo mondo suonarono a festa per l'entrata in vigore del Trattato internazionale che metteva al bando le mine antipersona una volta per sempre.
Non meraviglia il fatto che certi stati non abbiano ancora aderito al Tribunale. Il non voler aderire a questo, come anche ad altri Trattati di condotta internazionale, fa venire il sospetto di una qualche "coscienza sporca" in certi centri di potere, fino a pretendere per se stessi il diritto all'impunità. Sono comportamenti schizofrenici che mal si addicono a società con cultura democratica.
Quello che indigna, invece, è che il Consiglio di Sicurezza dell'ONU abbia accettato, con voto unanime, la condizione posta dagli USA di avere l'esenzione totale dalla giurisdizione del Tribunale per i propri cittadini impiegati in interventi militari all’estero. Il permesso di esenzione - che sospende non solo il diritto a procedere ma anche quello di investigare - è valido per un anno per tutti gli stati che non hanno ancora ratificato il Trattato (Russia, Cina, Israele ed altri ancora), ed è rinnovabile attraverso un nuovo voto del Consiglio di Sicurezza. Questo privilegio, di fatto, svuota di autorevolezza e priva di operatività il Tribunale stessa e crea automaticamente due "corsie" di giustizia: una corsia "preferenziale" a luce sempre verde per i cittadini di prima categoria, ed un’altra a luce rossa per i cittadini di seconda classe.
Siamo d’accordo con Richard Diker, di Human Rights Watch, che afferma: "Non siamo contenti per questa esenzione assicurata ad alcuni cittadini, non perché diamo per scontato che il personale impegnato in "missioni di pace" commetta atti criminosi, ma perché nessun gruppo di persone dovrebbe essere messo al di sopra della giustizia internazionale. Puzza di oltraggio globale ed ha aspetti di dubbia legalità. E’ come dare carta bianca prima ancora che il fatto sia commesso".
Amnesty è sulla stessa linea: "Una risoluzione scandalosa che mette in crisi l’integrità del sistema di giustizia internazionale e il principio fondamentale che stabilisce che nessuno è al di sopra della legge".
La preoccupazione aumenta al sentire le parole del presidente alla base statunitense di Fort Drum: "Forse avete sentito parlare di un Trattato che intende sottoporre i militari americani alla giurisdizione di un organo chiamato Tribunale penale internazionale. Gli Stati Uniti non permetteranno che i nostri soldati siano sottoposti a una giurisdizione che non accettiamo".
Vengono spontanee alcune domande: Si ripeteranno gli "errori" sulla funivia del Cermis e sulla festa di nozze a Kandahar? Resterà invariato il furbo vizietto secondo cui, "la Legge è eguale per tutti, ma sono i poveri (= i ladri di polli) a pagare"? E’ possibile fare "operazioni di pace" senza operare la giustizia?
Dio sembra pensarla diversamente, ed è quel che conta: "Giustizia e Pace si baceranno". Una giustizia eguale per tutti, perché tutti possano godere la pace.
p. Marcello Storgato, sx.