Frontiere a geometria variabile
Régis Debray, filosofo e giornalista francese, nel suo libro “Elogio delle frontiere”, sottolinea l’opportunità delle frontiere in quanto luogo di incontro e di scambio tra le diversità, sia di persone che di merci. Una specie di specchio necessario per mettere a fuoco l’immagine di noi stessi. Senza voler forzare il suo testo, penso possa rientrare nelle opportunità anche il fatto che le frontiere debbano essere abbattute nel momento in cui non assolvono più alla funzione di luogo di incontro, ma di separazione e rottura.
Sicuramente, i limiti della pelle del nostro corpo rappresentano l’immagine più appropriata delle nostre frontiere fisiche e, ciascuno nella propria esperienza, sin dall’infanzia, sa che tali frontiere diventano per noi importanti nel momento in cui si incontrano e si affievoliscono, creando empatia e tenerezza. Penso sia utile tener presente la funzione positiva che possono e devono assolvere le frontiere. Purtroppo, l’esperienza fondamentale vissuta da milioni di cittadini del pianeta è segnata dalla loro valenza di chiusura e di minaccia, più che di incontro.
Sono diventate, sempre più, luoghi di scontro, di esclusione e, sempre più spesso, di discriminazione. Le frontiere contemporanee segnano la libertà pressoché assoluta del passaggio di merci e sempre più l’impossibilità di transito per gli esseri umani. Nel sistema internazionale dei passaporti, sappiamo bene quanti abitanti di numerose nazioni, soprattutto le più povere, non hanno la minima possibilità di usufruire del diritto fondamentale alla libera circolazione. Quest’ultima rappresenta una dote privilegiata, per nascita, per i cittadini degli stati più ricchi e più armati del pianeta.