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Educatori di Pace: Raoul Follerau, "Diacono di pace"

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Non basta dire" buongiorno" alla pace - Card. Roger Etchegaray

Per commemorare il centenario della nascita di Raoul Follereau, l'Aifo, l'associazione italiana che ne attua il carisma, ha organizzato un convegno dal titolo, "C'è un solo cielo per tutto il mondo. Amare e partecipare per volare alto".

Nell'occasione, sono stati consegnati i "Premi sul campo". Al cardinale Roger Etchegaray, presidente emerito del pontificio Consiglio giustizia e pace, è andato il premio per la pace con questa motivazione: "Per la vita vissuta nel servizio alla pace come dono dell'amore. Per tutti quegli uomini e donne che, in nome della propria fede, contribuiscono all'edificazione di un mondo in cui non si vive gli uni accanto agli altri, ma gli uni per gli altri".

Alla consegna del Premio (Rocca di Papa, 26 ottobre '03), il cardinale ha ricordato il "diacono della pace", Raoul Follereau, con le parole che qui riportiamo, per gentile concessione dell'Aifo.

Ringrazio del premio per la pace che mi è stato assegnato. Accetto questo premio non tanto per quello che io ho potuto fare in favore della pace nel mondo, ma soprattutto come riconoscimento a Raoul Follereau e a tutto ciò che egli ha fatto per lottare contro la lebbra fisica, e più ancora contro la lebbra delle lebbre che è la guerra. Il centenario della sua nascita mi dà l'occasione per rendere omaggio a lui, che lo scienziato Jean Rostand chiamava “un poeta dell’azione, un apostolo più che un filantropo”.

"Amarsi o scomparire", oltre le frontiere

Il flagello della guerra faceva orrore a Raoul Follereau, perché egli puntava sull'amore. Con la forza delle immagini, di cui conosceva il segreto, egli scrive: "Avete visto una frontiera? È una barriera di legno con i poliziotti da ogni lato. Tutto intorno, gli alberi sono gli stessi e il cielo è lo stesso; la gente si parla sopra la frontiera e si dà la mano... Fino al giorno in cui gli uomini che governano i popoli li vestono qua di blu e là di rosso e comandano loro di uccidersi. E si uccidono davvero!".
Cosciente della minaccia atomica che incombeva sull’umanità, Raoul lanciava nel 1949 la sua Campagna “Amarsi o scomparire”, con un manifesto intitolato “Bomba atomica o carità - catena di morte o catena d'amore”.

Vari anni dopo, con lo stesso stile, Giovanni Paolo II lanciava all'Unesco un solenne monito: “Io, figlio dell’umanità, vescovo di Roma, mi rivolgo direttamente a voi che siete le più alte autorità in tutti gli ambiti della scienza moderna. Dispieghiamo i nostri sforzi soprattutto per preservare la famiglia umana dall’orribile prospettiva della guerra nucleare”. Fu allora che egli proferì il grido appassionato: “Bisogna mobilitare le coscienze!”; un grido che è stato considerato come un appello a una sorte di obiezione di coscienza, affinché gli scienziati del mondo blocchino l'ingranaggio della morte.

Un giorno di guerra per la pace

Conosciamo l'appello che Raoul Follereau rivolse ai leader dell’Est e dell’Ovest: “Datemi ciascuno un bombardiere, uno solo… diminuendo i bilanci di morte in favore dei poveri”. Poiché il suo appello ai due grandi della terra rimasero senza risposta, con ostinazione scrisse al segretario generale dell'Onu, per chiedere che tutte le nazioni decidessero ogni anno, in occasione della Giornata mondiale della pace, di prelevare dai loro bilanci il costo di un giorno di armamento per lottare contro la miseria, fonte di conflitti nel mondo. Un giorno di guerra per la pace!

Raoul chiese ai giovani di appoggiare la sua richiesta inviando cartoline. “Siate voi - dice loro - a dire no al suicidio dell’umanità”. Aderirono subito più di 100.000 giovani di 55 paesi. Poi le adesioni salirono a tre milioni. L'Italia fu la prima ad appoggiare la richiesta “un giorno di guerra per la pace” e chiese che la questione fosse messa all’ordine del giorno dall’Onu, che la adottò nell'Assemblea generale. Raoul si congratulò con i giovani.

Dite "no" al suicidio dell'umanità!

In tutte le sue iniziative umanitarie, Raoul Follereau cercava sempre l'appoggio dell’opinione pubblica. Era esperto in materia. Senza cadere in un facile pacifismo, metteva in pratica il Concilio che afferma: “I reggitori di popoli dipendono in massima parte dalle opinioni e dai sentimenti delle moltitudini” (Gaudium et Spes).

Negli ultimi 16 anni della sua vita, Raoul scrisse ai giovani un appello annuale. Nel 1977, anno della sua morte, il suo messaggio prese la forma di un “Testamento alla gioventù del mondo”. Cito alcune frasi: “L’Apocalisse è all'angolo della strada. Giovani di tutta la terra, sarete voi a dire no al suicidio dell'umanità. Amarsi o scomparire; amarsi gli uni gli altri; amarsi tutti. Non a certe ore, ma tutta la vita. Per dire addio alla guerra, non basta dire buongiorno alla pace".

C'è un solo cielo per tutto il mondo

Di fronte alla complessità, al groviglio dei problemi, siamo tentati di dire a noi stessi: la pace dipende da mani più esperte delle nostre. Certo, la pace ha bisogno di specialisti, ma essa è anche nelle mani di tutti noi; passa attraverso mille piccoli gesti della vita quotidiana. Ogni giorno, nel nostro modo di vivere con gli altri, scegliamo di essere pro o contro la pace. Quanti uominisono pronti oggi a sfilare in corteo o a firmare una dichiarazione, mentre la loro vita riflette soltanto egoismo o rifiuto del dialogo? Quanti cristiani oggi chiedono alla loro chiesa di prendere delle posizioni che essi stessi non osano arrischiarsi a prendere nella propria vita?

Coraggio! Sono d'accordo con Raoul che diceva: “C’è un solo cielo per tutto il mondo”. E aggiungo: “C'è un solo Dio Padre per tutti!”.



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