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È il momento di un nuovo umanesimo

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In tanti mi hanno chiesto cosa potrà portare di nuovo il coronavirus nelle nostre vite e se da questo tempo potremo cogliere delle opportunità. Ho pensato che il possibile, auspicabile cambiamento si dovrebbe cercare su tre livelli. 

Prima di tutto, l’esperienza del limite. Non siamo noi i padroni di noi stessi. Ce l’ha brutalmente sbattuto in faccia il virus, un essere vivente invisibile a occhio nudo, che ci ha messi tutti a piedi. Ci ha ricordato che siamo solo delle creature, non autosufficienti; veniamo da Dio che - grazie alla parola del Figlio - crediamo essere un Padre buono e misericordioso. Il limite esistenziale, fisico, ci fa toccare con mano la realtà: non potevamo più fare quello che piaceva e neppure quello che avremmo dovuto fare! Ma, una fatica ancora maggiore sta nell’accettare i nostri limiti personali, caratteriali, emozionali, le nostre antipatie, la sopportazione dei difetti altrui che emergono nel vivere insieme 24 ore su 24. Il limite è la misura della nostra povertà e fragilità. Siamo poveri, non solo quando non abbiamo niente o quando ciò che abbiamo non ci basta, ma quando ci rendiamo conto di non avere in mano la nostra esistenza e di dover accettare che essa sia nelle mani di altri che non ci conoscono e non tengono conto della nostra realtà!

Anche il secondo livello ci interroga. Per chi vivo? Per cosa vivo? Come intendo impostare la mia vita alla luce della fede (in rapporto a Dio che mi ama) in questo tempo post emergenza? Domande impegnative. È troppo facile sentire le statistiche dei malati e dei morti, dimenticando che dietro ai numeri ci sono persone vere, che hanno sofferto e lottato, che sono state sole per giorni, famiglie in lutto. E, insieme, che dietro a queste cifre ci sono medici, infermieri, volontari, che si donano generosamente come insegna il vangelo, a volte anche senza essere “gente di chiesa” come me. Papa Francesco li ha chiamati eroi e sacerdoti di questo tempo. Tutto questo mi fa sentire piccino nella mia povera fede e nella scarsa mia carità. Sento che la mia vita dovrà essere impostata diversamente, in un dinamismo aperto e ospitale, non più sulla legge e sul dovere, ma sull’amore, sull’attenzione agli altri e per gli altri. Non potrò più dimenticare chi soffre, né passargli accanto girando lo sguardo…

In parallelo, con questi due livelli si apre un altro ambito, quello del mio rapporto con i beni del mondo. Abbiamo il dovere di limitarci nelle cosiddette necessità, abbiamo il dovere della sobrietà, nel pensiero di chi da questa pandemia uscirà senza più beni da spendere. Possiamo continuare a vivere allegramente? Possiamo ancora scialare i beni della nostra casa comune, riducendo il tesoro che abbiamo avuto e che dobbiamo passare ai nostri successori? Viviamo in una realtà impoverita dalle urgenze e dalle enormi spese causate dal virus, ma anche da uno stile di vita spensierato che non tiene conto degli altri. Quali sono le spese inutili a cui poter rinunciare e a cui devo educare i figli nati e cresciuti nel benessere di questi anni?

Forse, il cambiamento che tutti sentono necessario sarà ritrovare l’umanità, come caratteristica della persona, ritrovarci liberi dalle incrostazioni lasciate dalla cultura attuale, centrata sul produrre e il consumare, sull’apparire e il non-essere, sull’avere e il potere.



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