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Dr. Coperchio: Un missionario oggi in Bangladesh

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Carissimi amici, perdonate mi se vengo a scrivervi solo ora, dopo il mio ritorno in Bangladesh. È passato esattamente un anno da quando ero tra voi. Molti gli avvenimenti che hanno coinvolto in modo più o meno diretto il  nostro vivere. In questi ultimi mesi l'attentato al Trade Center di New York e al Pentagono a Washington, con la conseguente guerra in Afghanistan, continuano ad essere al centro delle notizie ma anche del nostro vivere con le conseguenze inaspettate che un fatto come questo ha prodotto.

Se poi, un avvenimento capitato a migliaia di chilometri da casa nostra può influenzare il nostro vivere ed il nostro pensare, come sta avvenendo, ci fa capire che il mondo, oggi, è proprio lì fuori della porta di casa e, volenti o nolenti, ci coinvolge con tutti i suoi problemi.

Non possiamo più difenderci dicendo che non ci riguarda. Il mondo, e con lui anche noi, si è scoperto dolorosamente disincantato di se stesso e del suo futuro. Mi viene spontaneo paragonare gli eventi passati ad una nuova Babele. Ci ritroviamo infatti a parlare non solo lingue diverse, ma anche i valori su cui ci confrontiamo e su cui basiamo la nostra vita cominciano ad apparirci fondamentalmente diversi.

È in questo contesto che anche la mia vita ha cominciato a colorarsi, oltre che delle corsie e degli ambulatori  dell'ospedale, anche delle strade e di alcuni villaggi di questo strano Bangladesh. Durante quest'anno ho cominciato una nuova esperienza che mi porta ogni quindici giorni in un villaggio a circa 60 chilometri da Jessore, dove due miei confratelli stanno portando avanti una missione di presenza e di testimonianza in mezzo ai fuori casta.

Passo così il sabato pomeriggio e la domenica visitando un centinaio di pazienti con la gratuità evangelica, mettendo al primo posto i bambini, i vecchi, le vedove, i poveri di Dio. Devo confessarvi che è un' esperienza nuovissima anche per me. Ho cominciato a capire ogni giorno sempre di più il senso della predilezione di Dio per coloro che nelle beatitudini sono i poveri, gli assetati di giustizia, gli esclusi per razza, religione, casta.

Circa un mese fa ero andato alla stazione dei pullman proprio per recarmi a Chuknagar, si chiama così il paese a cui appartiene il villaggio dove vado. Era un sabato pomeriggio, assolato e caldo, la stagione delle piogge ormai conclusa.

Mentre facevo la coda allo sportello per comperare il biglietto, alcuni attorno a me hanno cominciato a chiedersi se ero americano. Il bigliettaio, che mi conosce da tempo, quasi consapevole della situazione un po' imbarazzante in cui mi trovavo, alzando la voce mi ha chiesto: "Sei italiano, vero?".

Ho annuito sorridendo e preso un biglietto, salutando chi mi stava attorno in bengalese, sono salito con calma sul pullman. Dopo aver preso posto sotto gli occhi curiosi degli altri passeggeri, aspettando l'ora della partenza ho cominciato a scrivere su un foglio quanto mi stava passando per la testa. Una riflessione su ciò che sto vivendo e su come la realtà che mi circonda possa a volte interpellarmi facendomi ripensare alla missione stessa.

Una riflessione che a suo modo può prendere i colori del digiuno musulmano o quello del nostro periodo di attesa, può ispirarci ad un nuovo incontro ed ad una nuova rinascita, nonché ad una maggiore mutua comprensione. Ebbene eccomi su questo pullman aspettando di partire con la gente che mi guarda come un estraneo.

Si meravigliano infatti che risponda in bengalese alle loro domande fatte in un inglese rabberciato. Di bianchi che possano intavolare un discorso in bengalese non ce ne sono poi tanti da queste parti per cui la loro curiosità aumenta ancor di più. Ma è anche un marchio: il marchio del privilegiato.

La tua pelle dice che sei ricco. E anche se non lo sei devi accettare che sia così.

Non ti crederanno mai quando dici di non possedere nulla. Non possono credere che tu abbia lasciato l'Italia per vivere in Bangladesh al servizio degli altri. È inconcepibile. Eppure devi dire grazie a questo marchio, a questa pelle perché solo così oggi il tuo messaggio diventa rivoluzionario.

Mi guardo attorno: le case di fango si susseguono lungo la strada che il pullman consegna al mio sguardo. Non so perché, ma è da un po' di tempo che ripenso alla croce, a quella croce che cerco di predicare, di testimoniare.

Ma a chi? A coloro che in realtà vedo già inchioda ti sulla croce della povertà, dell'ignoranza, dell'oppressione, dell'ingiustizia, della malattia? E allora all'improvviso mi rendo conto che sto predicando a me stesso, alla mia anima, alla mia fede, alla mia speranza, a questa mia vocazione.

Sono il primo da convincere e da convertire. Andate e predicate, si legge nel Vangelo. Durante questi miei viaggi mi ritrovo spesso con gli occhi fissi su questa gente.

Sono qui a predicare loro la croce?

Non potranno mai capirla la croce perché sulla croce sono nati, sulla croce sono cresciuti e sulla croce continuano a vivere giorno dopo giorno. Sono loro che possono insegnarmi il senso della salvezza nella croce, sono loro quelli che sanno il vero senso della gioia nella povertà, della serenità nella sofferenza, della speranza nella disperazione, della ricerca per la giustizia.

Sono loro i poveri che il Vangelo chiama beati, sono i miei compagni di viaggio che su questi pullman sgangherati sembrano sfidare ogni momento il destino. Sono quelli che per strada chiedo no l'elemosina, o mi guardano con curiosità e con invidia. Sono i malati che mi aspettano, fermandomi a volte per la strada che conduce alla missione.

Sono loro ad indicarmi il senso di quella croce scelta da quel Dio che eterno si è voluto fare tempo per perdersi tra di noi.

Penso che tra tutte le costruzioni che ho visto sfilare sotto i miei occhi, le case di fango che hanno accompagnato i miei viaggi nei mesi passati siano quelle che rassomigliano di più alla capanna dove il Cristo è nato e dove continua a nascere ancora oggi.

Non so se raccontarvi tutto questo abbia un senso. Volevo con questi miei pensieri ringraziarvi perché con la vostra simpatia, amicizia e col vostro ricordo mi invitate a continuare questa mia avventura per le strade del mondo per annunciare che Dio non si stancherà mai dell'uomo e continuerà a nascere nelle sua capanne. Un augurio, un saluto ed un ciao immenso.



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