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Carmine racconta alcuni “spezzoni” di vita che si intrecciano con la missione del laico saveriano e del servizio diaconale nella chiesa. Lo ringraziamo, augurandogli ogni bene.

Ripercorrendo il film dei miei 25 anni, come diacono e laico saveriano, tanti sono i ricordi fissi nella memoria. Ad esempio, il giorno del primo incontro mio e di Nuccia con il laicato. Ricordo che, mentre ci veniva spiegato il progetto e la spiritualità saveriana, il mio cuore si riscaldava, acquistando la consapevolezza che lì volevo stare, che quello era il mio posto, che quella era la spiritualità che io per anni avevo cercato.

Da allora è iniziata questa magnifica avventura che ci ha portato varie volte in Africa, dove ho avuto modo di esercitare anche il ministero diaconale, anche celebrando i battesimi in un villaggio, con la massima semplicità. Il battistero non era altro che un catino con acqua benedetta, che ho versato con le mani sulla testa dei bambini. Ripensando a quel momento, mi vengono in mente le parole di san Pietro che papa Francesco ha ripetuto in occasione del suo viaggio in Brasile: “Non ho né oro né argento, ma quello che ho ve lo do”.

Io non avevo portato nulla che potesse sollevare quel popolo dalla sua sofferenza; avevo solo le mani che - per il dono del ministero ecclesiale - potevano far passare la grazia del Signore.

Grazie al laicato saveriano, ho imparato cosa significa lavorare nel regno di Dio, senza lamentarmi, cercando di farlo in comunione, “come in una famiglia”. Questo, infatti, è l’altro insegnamento ricevuto in questi anni. Dall’inizio ho percepito di trovarmi in una famiglia, dove tutti facciamo lo stesso cammino e ci ritroviamo uniti nei momenti importanti, vivendo insieme le gioie e i dolori, che in questo cammino non sono mancati; da figli di Dio, li abbiamo vissuti nella preghiera.

Anche in occasione del 25° di servizio diaconale ho percepito con gioia la presenza della famiglia del laicato.

Infatti, nel salone offerto dalle benedettine per un momento di convivialità, con tavoli da 8 persone, gli amici venuti dai vari ambiti che frequento erano a un unico tavolo, mentre per la famiglia del laicato c’è stato bisogno di molto più spazio…

Che bello”, ho pensato, e che gioia vedere che la mia famiglia del laicato si è arricchita di tanti altri membri, che sicuramente hanno fatto la stessa esperienza che io feci vent’anni fa quando, entrandovi, mi sentii subito parte di un’unica famiglia! Non sapevo, allora, che ciò che stavo sperimentando era “il sogno del Conforti”, quello di “fare del mondo una sola famiglia”.

Il sogno di Dio, infatti, è quello di vedere riuniti tutti i suoi figli e figlie in una sola famiglia.

E ognuno di noi può diventare “segno” di questo “sogno”, vivendo da figli del Padre e fratelli di ogni uomo, come Cristo ci ha mostrato.



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