Come incontrare oggi Cristo Risorto
Esperienza del dott. Gildo, Saveriano in Bangladesh
Dottor Gildo, da 15 anni in Bangladesh lavora con il dott. Bucari, ambedue Saveriani e marchigiani. Prima di ritornare laggiù, ci ha lasciato dei pensieri rivolti a se stesso e a ognuno di noi.
Come prima cosa devo dire grazie a molte persone per tanti motivi, ma soprattutto per avermi spinto a questa riflessione di cui vi faccio partecipi. Potrei cominciare raccontandovi fatti penosi e strappalacrime avvenuti nel mio ospedale. Ma non avrebbe senso. Più preziose sono le riflessioni silenziose e dolorose del mio vagare per le strade d'Italia.
Ho sempre sperato che il tempo perdesse quasi per miracolo la sua valenza di profitto: "Il tempo è denaro" sento ripetere dovunque. Tutto è denaro: forse è questa la maledizione del nostro tempo. In questi mesi ho visto sorgere dentro di me ansie e dubbi, soprattutto nel vedere le strade italiane affollate di macchine bellissime, accattivanti, potenti, dai motori rombanti.
Come potevo non ricordare, davanti a tutto questo, le strade affollate di genti del quasi dimenticato Bangladesh: gente vestita di poco, bambini seminudi, sporchi, ma stranamente sorridenti, gente che vedo fotografata sui giornali per intenerire il cuore di uomini più fortunati. Sono gli spot pubblicitari invitare alla carità. Me lo permettete: mi fa male dentro.
Dovunque mi trovi, il suono dei telefonini sembra una folle sinfonia alla ricerca della melodia di incontri che non possono avvenire mai. E pensavo al Bangladesh, dove sta cominciando questa stessa follia. Pensate: la capitale, Dhaka: dieci milioni di persone, tutto il giorno gomito a gomito, in un affollamento unico al mondo: quasi 1000 abitanti per chilometro quadrato; ebbene sono comparsi i telefonini, hanno bisogno di telefonarsi per incontrasi. Spaventoso.
Ed io? Anch'io sono figlio di questa società. Quante volte ho detto: farsi poveri con i poveri. Illusione, utopia o verità? Quante volte l'ho predicato, e poi la vita è tutt'altra cosa. I poveri vivono, non predicano e non scrivono, proprio perché nella loro povertà non potranno mai né parlare né scrivere. Io purtroppo povero in questo senso non lo sono ancora. Sono queste le riflessioni che accompagnano la melodia delle ruote del treno durante i miei viaggi.
Una fede ed una missione, la mia, ancora in cammino, ancora in divenire, ancora bisognosa di salti nel buio. Prima di aiutare i poveri devo rispettarli, deve cambiare dentro di me quel sentire fondamentale per cui tra i poveri ci si sente come tra amici. L'amore è rispetto. Leggevo non molto tempo fa un'intervista ad uno sconosciuto p. Joseph Wrèsinski che così puntualizzava: "Il rispetto dei poveri comprende due esigenze: il riconoscimento di ciò che è il più indifeso e del suo diritto; ma anche la deferenza di ciò che egli è e per ciò che può essere per me.
Per me questo rispetto non raggiunge solo i più sfavoriti, ma Gesù Cristo stesso, Colui che assume tutti per l'eternità, sia in cielo che sulla terra, perché si è identificato con essi: "Ho avuto fame, ho avuto sete, ero malato; ciò che avrete fatto al più piccolo dei miei l'avrete fatto a me" perché lui li ha elevati al suo livello. È per questo che egli ha creato la sua Chiesa: perché evangelizzi i più poveri. È questo il segno stesso del regno: "La buona novella è annunziata ai poveri".
Se io non mi converto nel senso primo del termine, se non capovolgo totalmente le mie scelte, le mie priorità, la mia vita, mai incontrerò i poveri, mai succederà qualcosa, né per loro, né per me. Il Cristo incontra i poveri, i più piccoli tra i poveri, perché egli è uno di loro, perché egli è il povero, perché egli ha preso l'ultimo posto. Per accostare e per incontrare il povero non c'è altra via che quella del Cristo: prendere l'ultimo posto".
Sono parole dense di significato, perché i poveri sono quell'appello che ci turba, che ci scuole, che rovescia la nostra logica; è nel Vangelo questo appello di Cristo: cercate innanzitutto il Regno di Dio. Rivolgetevi innanzitutto alle cose del Padre vostro che è nei cieli, cioè al più piccolo, a colui che soffre. Che gli ultimi siano i primi, primi serviti, primi amati, primi ascoltati.