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Alle donne, una mimosa speciale

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Care lettrici di “Missionari Saveriani”, quest’anno meritate una mimosa speciale. Non un semplice fiore, tenero, vellutato, luminoso, discreto, ma la testimonianza di uno sguardo che scende nel cuore femminile, là dove la donna coglie le domande che essa deve lanciare di fronte alle sofferenze delle periferie del nostro mondo: “La sofferenza di tante donne mi lascia indifferente, o mi riguarda personalmente?”.

Care lettrici, leggendo il racconto di quello sguardo, vi sorprenderete e ripeterete: “Solo papa Francesco può scrivere cose così sublimi sulla sensibilità femminile!”. Ma la vera sorpresa è che il racconto non è firmato da papa Francesco, ma da Jean Paul Sartre, il grande filosofo ateo, che più d’ogni altro ha spalancato le porte dell’Occidente all’indifferenza e alla perdita della fede. A quel punto, anche voi sperimenterete la gioia missionaria...

Il racconto dell’ateo Sartre

Il racconto è stato scritto in un campo di concentramento della Germania di Hitler, per la celebrazione della veglia di Natale del 1940. La Francia era stata invasa dalla Germania e molti francesi erano stati deportati nei campi di concentramento.

Con loro c’era anche il grande filosofo Jean Paul Sartre, arrestato a Parigi durante un rastrellamento. Passava le sue giornate a immaginare un mondo senza speranza, e nella sua mente nasceva “la filosofia dell’indifferenza”, di chi non si lascia coinvolgere da ciò che succede attorno...

Alcuni preti prigionieri domandano a Jean-Paul Sartre di scrivere una piccola meditazione per animare la veglia di Natale. Sartre, l’ateo, accetta. Disegna un presepio, come lo immaginano i bambini, e scrive a mano una paginetta:

“Voi avete diritto di esigere che vi si mostri il presepio. Ed eccolo qui. Ecco la Vergine, ecco Giuseppe, ed ecco il bambino Gesù… L’artista ha trasfuso tutto il suo amore in questo disegno. Forse voi lo troverete ingenuo, ma, provate ad ascoltarmi chiudendo i vostri occhi, perché io racconto quello che vedo dentro di me”.

Beata sei tu, Vergine Maria

“La Vergine è pallida. I suoi occhi non si staccano dal Bambino. Quello che bisognerebbe dipingere sul suo viso è uno stupore ansioso, apparso una sola volta su un volto umano. Perché il Cristo è suo figlio, carne della sua carne, frutto del suo grembo.

Lei lo ha portato per nove mesi e gli donerà il suo seno: il suo latte diventerà sangue di Dio. E qualche volta la tentazione è così forte che ella dimentica che è Dio. Lo stringe tra le sue braccia e gli sussurra: «Mio piccino!». Altre volte, invece, essa rimane come interdetta e pensa: «Dio è qui».

Tutte le mamme nutrono presagi. Ma nessun bambino è stato più crudelmente e più rapidamente strappato a sua madre, perché lui è Dio e va oltre l’immaginazione di sua madre.

Penso che ci siano stati altri attimi, rapidi, sfuggenti, nei quali Maria sentiva che Cristo è suo figlio, il suo piccino e, allo stesso tempo, che lui è il suo Dio. Essa lo fissa e pensa: «Questo Dio è mio figlio, è fatto da me, ha i miei occhi, la sua boccuccia ha la forma della mia bocca. È Dio, e mi assomiglia».

A nessuna donna è stata riservata la sorte di avere il suo Dio tutto per sé: un Dio così piccolo da lasciarsi prendere in braccio e lasciarsi coprire di baci…”.

Come dubitare?

Finita la guerra, l’esistenzialismo ateo di Sartre sembrava risolvere tutti i problemi. Ma quella famosa paginetta era diventata ingombrante per i seguaci di Sartre. La sua stessa compagna, Simone de Beauvoir, tentò di rifiutarne l’origine. Ma il filosofo ateo confessò: “La notte di Natale, in accordo con i sacerdoti prigionieri, abbiamo provato a realizzare l’unione più larga dei cristiani e di chi non credeva”.

Care lettrici di “Missionari saveriani”, come dubitare che la grazia e la misericordia siano venute a visitare, in quel momento, il padre degli atei di oggi?​



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