La tragedia della sera del 13 novembre a Parigi ci ha lasciato tutti sgomenti, ma ci ha aperto gli occhi sul “mistero dell’iniquità”, il male che è ancora presente nell’umanità, e ci ha fatto toccare con mano la precarietà del nostro vivere. Davvero non siamo i padroni della nostra esistenza; l’insicurezza è ormai l’aria in cui viviamo e che respiriamo.
Non bastano i servizi di sicurezza, e quelli di intelligence non sono sufficienti a salvarci. Le esplosioni di Parigi con i troppi morti e i molti feriti - e anche tutte le altre tragedie nel nostro mondo - mettono a dura prova la nostra capacità di convivere e di amare in nome di quella fraternità che è coerente con la nostra fede e con la nostra cultura, che ha radici nel vangelo di Gesù.
Far finta di niente?
Oggi non possiamo girar pagina e far finta di niente, perché Parigi non è lontana come New York o il Sinai, e perché abbiamo visto che i terroristi attaccano ambienti che nulla hanno a vedere con la politica o la finanza mondiali, ma i luoghi della vita feriale e dello svago, e ci rendiamo conto che nei momenti della quotidianità di un venerdì sera può scoppiare l’inferno.
È vero dunque ciò che il papa va dicendo da tempo: il nostro mondo sta già combattendo una terza guerra mondiale “a pezzi”, la quale non è però meno crudele di quelle che hanno segnato il “secolo breve”.
La risposta del mondo non può essere una dichiarazione di guerra a chi ha attaccato Parigi. Non è per pacifismo ad oltranza né per una posizione ideologica che lo diciamo, ma per un’elementare constatazione della storia recente: le guerre dichiarate in questi ultimi anni non hanno prodotto un risultato positivo; hanno solo peggiorato la situazione generale e aggravato la sofferenza degli innocenti.
Cosa possiamo fare…
E allora che cosa possiamo fare davanti a tanta efferatezza che di umano non ha proprio nulla? E come dobbiamo rispondere a questa realtà?
Credo che una prima reazione debba essere quella suggerita dall’arcivescovo di Parigi: non cadiamo nella trappola dell’odio che non fa che aggravare un male già grande e non serve a risolvere alcun problema. E non pensiamo che questo sia un episodio di una guerra di religione.
Anche se gli assalitori hanno ucciso al grido della guerra santa, “Allah è grande”, non possiamo mettere sul conto dell’islam tutta la responsabilità di questi attacchi terribili e sanguinari.
Ancor meno serve prendersela con i profughi e con gli immigrati… Sarebbe un modo rozzo e inconcludente di distogliere l’attenzione dalla verità.
Disarmiamo il nostro cuore
Dopo lo sgomento e il panico provocati dai kamikaze e dilatati dalle trasmissioni televisive, dobbiamo ritrovare la lucidità per vedere le cause di tutto questo disastro. Ma la prima cosa da fare è continuare a vivere e riprendere la nostra vita, che deve procedere ancora, in una fiducia condivisa in Dio e nell’uomo.
Non sarà certamente facile togliere di mano ai terroristi disperati le armi omicide, ma altrettanto difficile, eppure indispensabile, sarà disarmare il nostro cuore e il nostro linguaggio e ritrovare quell’umanità che è propria della nostra migliore tradizione.
Questo disarmo interiore non può venire che dalla fede e dalla grazia di Dio. A lui dobbiamo rivolgerci per chiedergli la forza di non scivolare a nostra volta nello stesso odio. Solo così forse troveremo la maniera di interrogarci su cosa fare in quest’ora tragica, che tuttavia ci chiama tutti a conversione. E prima di tutto chiediamoci chi sono questi fratelli che uccidono fratelli e sorelle inermi, in modo indiscriminato e senza motivazione.
Sono sicuramente dei disperati. Ma da dove viene la loro disperazione?
Riflettiamo e preghiamo
Sembra chiaro che i loro sono gesti estremi, assolutamente detestabili, che vogliono maldestramente attirare l’attenzione su situazioni - quelle della Siria e dell’Iraq - dove da anni si muore nell’indifferenza quasi totale del nostro mondo occidentale.
Questi eventi luttuosi accadono in questa fine d’anno e ci obbligano a fermarci, riflettere e pregare per questa terribile realtà di cui portiamo anche noi qualche responsabilità, non per promuovere inutili sensi di colpa, ma neppure per darci una troppo facile assoluzione.
Chiediamo a Dio che ci aiuti a seminare nel mondo la pace di Gesù, quella che egli ha portato nel Natale e ha offerto a tutti noi pagandone il prezzo con la sua morte. Solo così gli orribili avvenimenti di Parigi, e le altrettanto detestabili situazioni che li hanno determinati, faranno rinascere quella speranza che sola può illuminare questa oscura notte del mondo.
È questo l’augurio per il nuovo anno.