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Quando torno a casa a Ghedi per un periodo di vacanza, mi capita spesso di incontrare persone per la prima volta. Se parliamo della domenica e della Messa, spesso il mio interlocutore fa la classica affermazione “Sono credente, ma non praticante”, ovvero “credo in Dio, ma non partecipo all’Eucaristia”.

Ascoltando queste parole, sorgono in me perplessità e insoddisfazione. Perplessità per il fatto che l’identità di credente cristiano sia limitata alla sola partecipazione o meno alla messa. In realtà, essere cristiano significa anche praticare uno stile di vita che si fonda sul vangelo. Il motivo dell’insoddisfazione scaturisce, invece, dal fatto che essere cristiani riguardi la vita fuori dalla chiesa. Di più: nel quotidiano si verifica quanto la propria vita sia in sintonia o meno col vangelo, quanto un credente sia coerente o in contraddizione con quanto dice di credere.

Cos’è che qualifica un credente? Quale comportamento o pratica lo rende tale? Noi siamo cristiani perché in relazione a Cristo. Il criterio di verifica del nostro essere credenti si valuta su come cerchiamo, nel quotidiano, di vivere i valori che Cristo ci ha insegnato, testimoniandoli in prima persona. Da questo punto di vista, essere praticante vuol dire vivere come Gesù ha vissuto, amare e perdonare come Lui, accogliere e andare verso tutti come Lui. Il credente è colui che è in rapporto costante con Dio nella vita di ogni giorno e lo ritiene il punto di riferimento per le proprie scelte di vita. La pratica del credente diventa attualizzare l’esempio di vita di Cristo.

Quale posto occupa la partecipazione all’Eucarestia in questo discorso? Questa non è semplicemente un precetto della chiesa che, comunque, ammette molte valide giustificazioni di assenza. La partecipazione è il nostro incontro speciale, sacramentale, con la persona centro della fede che diciamo di professare. Quanto Cristo ha detto, fatto e lasciato come testamento ai suoi discepoli nell’ultima cena viene reso presente qui e ora. “Questo è il mio corpo dato per voi, fate questo in memoria di me…”. Quel gesto e quelle parole sono il compendio di tutta la sua vita. Come testamento, passa ai discepoli il suo stile di vita chiedendo loro di praticarlo.

Ricevere l’ostia consacrata ci fa essere uno con Cristo, da cui appunto la parola stessa “comunione”. Ricevere la comunione è un dono, segno concreto di amore e di fiducia da parte di Cristo per ciascuno di noi. L’Eucaristia ci invia fuori, nella società, a testimoniare e mettere in pratica le parole e i gesti di Cristo. Questo è il significato latino della parola “messa”. Nutriti dall’Eucaristia, siamo abilitati a diventare cuore e mani, braccia e piedi di Gesù. La pratica eucaristica, dunque, inizia proprio fuori dalla chiesa. Partecipare a tale banchetto nutre e rafforza la nostra fede, ci sostiene nel cammino di testimonianza di fede ogni giorno.

Il respiro è il movimento vitale per ciascun essere vivente. Esso è costituito dalla contrazione e dalla distensione del cuore. Non c’è l’uno senza l’altro. Anche la pratica della vita cristiana si svolge secondo questo duplice movimento: l’amore per Dio e per il prossimo.



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