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LE TRE SORELLE BRICOLE (RACCONTI DAL VENETO)

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Erano tre sorelle, erano delle Bricole (cioè quei pali, uniti insieme a tre; per indicare il canale per le barche e i vaporetti). Abitavano in zona Fondamenta Nove a Venezia. Erano lì da tanto tempo, ma nessuno si curava di loro, di cosa pensavano, di cosa parlavano, quando vedevano passare tante persone. Un giorno di primavera mi sono deciso a fare un viaggio fino all’isola di Burano. E naturalmente sono passato per l’approdo di Fondamenta Nove. Mi guardavo intorno. C’erano tante cose da vedere: le chiesa, il casino degli spiriti, l’Arsenale e l’ospedale civile e davanti a noi il cimitero e l’isola di Murano. Mentre aspettavo che il vaporetto partisse, mi è sembrato di sentire qualcuno bisbigliare qualcosa (avevo gli apparecchi acustici e così riuscivo a sentire tante cose). Mi sono guardato intorno, ma non vedevo nessuno. Chiedo al marinaio se anche lui avesse sentito qualcosa. La risposta fu negativa. Nessuno sentiva niente. Tutti pensavano alla gita che stava per incominciare. Mi sporgo dal vaporetto e mi sembra di vedere qualcosa. Inforco gli occhiali e sì, qualcosa si muove. Non capivo bene cosa, ma lo indico al marinaio, che mi dice che quelle sono delle vecchie bricole. Tutti dicono che parlano, ma è una leggenda di qualche secolo fa. Si vede, aggiunge, che ai tempi della Serenissima, qualcuno aveva spalmato qualcosa di speciale e così aveva dato loro il dono della parola. Mah, concluse, sono delle vecchie storie. Me le raccontava mio nonno che pescava da queste parti, ma si sa agli anziani piace raccontare e non la finiscono mai. Lo ringrazio e provo di nuovo a mettermi in ascolto. E piano piano, quasi fosse una brezza leggera, mi arrivano dei sussurri, che poi diventano parole. Mi sembrava che dicessero che loro erano tre sorelle Bricole, che stavano sempre insieme e che ne avevano viste tante e ancora oggi, con i turisti, ne vedono di tutti i colori. Mi è sembrato, forse era un gabbiano, un cocài, che si era fermato in cima al terzetto , che fu incaricato di venire verso di me e di dirmi di ascoltarle. Avevano tante cose da raccontare. E visto che ero interessato, avrebbero scavato nei loro ricordi. Non so come, risposi loro che ero pronto. Intanto il vaporetto stava per partire. Mi chiesi come facevo ad ascoltarle. Nessun problema. Avevano un modo speciale di farsi sentire. Bastava tendere l’orecchio e tutto sarebbe stato più semplice. E così comincia la storia che vi voglio raccontare, anche se sembra strana.

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La più giovane delle tre, che chiameremmo BR3, aveva una voglia matta di parlare, ma la più anziana, BR1, disse all’altra sorella BR2 di farla tacere. Avrebbero parlato a turno. Intanto il vaporetto era passato davanti al cimitero di san Michele, ma ormai mi stavo concentrando sulle loro parole. “Lo sai” mi dicevano “ che ogni volta che qualcuno muore, prendono una gondola speciale, c’è un angelo che la guida, per portare il defunto in questa isola?” .Non lo sapevo, ma mi sembrava di averne vista una nel museo dell’Arsenale. “E poi, i gondolieri, con calma, fanno il viaggio e all’arrivo c’è qualcuno che li accoglie e portano il defunto in uno dei tanti campi del cimitero. C’è sepolta tanta gente illustre e anche gente semplice che ha lavorato tutta la vita. Ora sono tutti riuniti e si fanno compagnia. Quando vediamo passare la gondola, facciamo silenzio, perché è il momento di pensare. Magari ti chiederai, dove vanno le bricole che muoiono? Non c’è un cimitero per loro”. Anch’io me lo chiedevo, poi ho visto qualche segheria dove le tagliavano e forse le mandavano per fare legna oppure le bruciavano direttamente, tanto ormai non servivano più a nessuno. Si dimenticavano del servizio che avevano fatto per tanti anni. Vedo che hanno capito quello che pensavo e sospirando sembrava che dicessero di sì. Intanto il vaporetto era arrivato a Faro e io dovevo scendere per andare a Burano. Mi fermo a guardo lontano. Le Bricole non le vedo, ma le sento. Il gabbiano si era levato in volo e si stava avvicinando a me. Aveva in bocca un pezzo di legno, era un pezzo del cuore delle Bricole. Mi si avvicinò e mi fece segno di prenderlo. Così, mi fece capire, che avrei potuto sentirle meglio. Tanta gente veniva e andava. Chi si preparava per andare a s.Erasmo, chi per ritornare a Venezia e chi, come me, che già pregustava il viaggio verso Mazzorbo, Burano e Torcello. Ma io guardavo quel pezzo di legno. Era pieno di muffa, sapeva di pesce, sapeva di storia e di ricordi e di vita. Arriva l’altro vaporetto, più grande, che poi sarebbe arrivato fino a Punta Sabbioni e il marinaio ci dice di salire. Quante gente che parlava del più e del meno, e in tante lingue, ma io guardavo e riguardavo quel pezzo di legno. Dopo la partenza, mi siedo, quasi lo metto vicino alle orecchie e sento le Bricole che continuano a parlare. “Allora, come va il viaggio? Hai capito bene quello che ti abbiamo raccontato. Adesso ti faremo tornare indietro di qualche secolo, ai tempi di personaggi famosi: scrittori, pittori, letterati”.

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E così ho fatto. “Hai visto che alla Sacca della Misericordia c’è una casa speciale? Si chiamava il Casino degli spiriti.”. Già, è vero, avevo sentito parlare di questo, dell’Aretino, di Giorgione e di altri personaggi un po’ speciali che si divertivano a farne di tutti i colori. Poi qualcuno, poco accolto, lasciò la sua vita, e tutti se ne andarono via, perché sembra che il suo spirito si spostava un po’ dappertutto. E quindi cominciò la paura o meglio la leggenda, sfruttata anche da qualcuno che faceva i suoi affari. “Più o meno è quello che hai letto, ma ci sono tante leggende anche belle, ma non sono state scritte. Ma noi le conosciamo, perché lì vicino all’abbazia della Misericordia c’era lo studio del Tintoretto, che faceva dei quadri che tutti ammiravano e li hai visti anche tu. Era un tipo speciale, conosceva la Bibbia come pochi altri e sapeva dipingere quello che gli usciva dal cuore. Veramente un grande dono per Venezia e per il mondo intero”. E così quelle parole mi facevano tornare in mente tutti i quadri e i libri, scritti su di lui. Veramente una persona eccezionale, non c’è che dire. Intanto eravamo entrati nel canale di Mazzorbo con le sue chiese e dall’altra parte, l’isoletta di Mazzorbetto. La gente scendeva. Tutti parlavano, facevano delle foto, anche alle isole ormai abbandonate, a causa dell’acqua alta. Una volta c’erano chiese e monasteri, pescatori. Ma adesso tutto creava solo nostalgia di un passato che rimane solo su qualche libro. I turisti non se ne accorgono. A loro preme far delle foto, dei selfie per dire che sono stati a Venezia e nella laguna. Ma la sua storia che le Bricole mi stanno raccontando non interessa. Al massimo acquisteranno a Murano qualche oggetto in vetro e a Burano dei pezzetti di stoffa ricamata da mostrare al ritorno. Nessuno che si chiede chi era la gente che là viveva, soffriva, sognava, era orgogliosa di Venezia e di tutto quello che questo significava. Si sentivano uniti in un grande progetto di vita. “Hai ragione” mi dicono le Bricole “oggi si vuole vedere tutto, documentare tutto, poi lo si lascia da parte e lo si sostituisce con altre cose. Si consuma in fretta, non si pensa più, non ci si meraviglia più e piano piano si invecchia prima del tempo. Noi abbiamo tanti anni, ma ci sentiamo giovani e tu, ascoltandoci, ci hai regalato un po’ di vita con il tuo tempo”. Ci stiamo avvicinando a Burano. Mi ricordo di aver visto una foto dall’alto di tutte le sue case colorate e ho una voglia matta di vederne qualcuna.

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Scendo all’approdo di Burano e mi concedo un giro fino alla chiesa. Un’occhiata veloce al museo del merletto. Ma i colori delle case mi riempiono di gioia. Mi hanno detto che i pescatori le facevano dipingere a colori, perché quando stavano per arrivare vicino all’isola, vedendo il colore della loro casa, cominciavano a sentirsi felici e remavano con più entusiasmo. Ritornando verso l’approdo, rischio di schiacciare il gatto nero che prende il sole, davanti all’ambulatorio del dottore. Voglio andare a visitare Torcello, le sue chiese, insomma tornare ancora indietro nel tempo. Prendo il battello e comincio a guardare lontano e vedo il campanile della cattedrale che mi invita a venire. Dalla punta volavano via veloci altri uccelli, discendenti di quelli che videro la gloria di quest’isola. Le Bricole del canale avevano ricevuto un messaggio da quelle di Fondamenta Nove e mi facevano da guida, raccontandomi la storia, ormai sepolta. Quanti marmi e altre cose erano state portate via, “rubate”, per abbellire i palazzi di Venezia. Ma qualcosa era rimasto. Scendendo dal battello e camminando lungo il canale, le guide mi dicevano di stare attento al “ponte del diavolo”. E’ vero, eravamo di giorno e lui si riposa. Ma non si sa mai. Qualcuno mi avrebbe protetto dalla sua improvvisa apparizione. Era la vergine Maria che stava in fondo alla cattedrale, sopra gli stalli a semicerchio e di fronte al giudizio universale. Un mosaico spettacolare, unico. Certo, il battistero, davanti all’entrata, evocava riti, cerimonie di tempi passati. Le Bricole avevano visto arrivare tanta gente che scappava da Altino, a causa dei barbari, del loro capo Attila e aveva trovato rifugio a Torcello. Tutt’intorno alle due chiese e al museo, stavano ripiantando le vigne. In attesa un giorno di bere quel vino, mi sono fermato a comperare un panino. Avevo fame e sete. Ma non mi stancavo, perché le Bricole mi davano un sacco di informazioni. Avrei voluto fermarmi a prendere un piatto di riso alla buranella, ma rischiavo di perdere il battello. Nelle isole intorno a Torcello, si vedevano le barene che, a secondo dell’acqua alta, vedevano il sole o si riposavano sott’acqua a fare compagnia ai pesci della laguna. Riprendiamo il battello e do uno sguardo per vedere se riesco ad individuare le amiche delle Bricole   di Fondamenta Nove. Sento qualche sussurro. Il solito gabbiano-postino mi porta un ramoscello d’ulivo che si era incagliato e mi fa capire che era il loro dono.

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Sul battello, c’era gente che veniva da Punta Sabbioni e che diceva che era passata vicino all’isola di san Francesco al deserto, dove san Francesco si era fermato al ritorno dalla Terra Santa. Mi sarebbe piaciuto andarci un giorno (e poi ci sono riuscito. E’ stato bellissimo). Ma dovevo rimettermi in contatto con le amiche Bricole e avevo un sacco di domande da far loro. Così, al primo soffio di vento glie ne mando una. “Per caso, ai tempi della Serenissima, lavoravate nei servizi segreti, visto che sapete tante cose?”. La comunicazione era un po’ disturbata, perché un taxi acqueo stava passando a tutta velocità. Poi, piano piano mi sembra di sentire qualcuno ridere. Ormai ero abituato al loro modo di comunicare e capivo che volevano prendermi in giro. “Certo, mi dicevano, noi sapevamo tutto e anche qualcosa di più. Tutti passavano vicino a noi e quindi era facile poi fare arrivare al Doge le notizie”. Ho capito. Avevano vinto anche loro questa volta. Intanto sulla sinistra, verso il fondo, dopo aver passato di nuovo Murano, vedo delle alte mura. Le loro voci ritornano. ”Sai, quello è l’Arsenale, la più grande impresa di Venezia, che dava lavoro a migliaia di persone. Quante navi hanno costruito gli arsenalotti”. E, continuo io, “ma queste sono servite a fare la guerra dappertutto, perché Venezia aveva bisogno di commerciare con tutti. Qualche volta, invece, sono servite per fermare gli invasori: genovesi, altre nazioni coalizzate contro di lei e anche i Turchi”. “Hai ragione” riprendono le Bricole “Quanta gente è morta per questo. Se vai a Palazzo Ducale, nella sala del Maggior Consiglio, vedrai tanti quadri (sono un po’ le fotografie dell’epoca) che descrivono le battaglie che hanno permesso a Venezia di essere indipendente e di farsi conoscere a tutti nel mondo. Noi le abbiamo viste passare queste navi vicino a noi. Avevamo un po’ paura che ci schiacciassero (come oggi), ma sapevamo che i piloti erano esperti e l’ammiraglio sapeva guidare bene la sua flotta. Sai che sulla sua casa aveva messo due obelischi, così quando si avvicinava con la nave, riconosceva più facilmente casa sua?”. Certo che le Bricole erano super informate, avevano occhi e orecchie dappertutto. Poi i gabbiani e gli altri uccelli della laguna portavano loro le notizie fresche. Ormai stavamo arrivando all’approdo e la gente scendeva rumorosa. Io me ne vado a prendermi un gelato. Faceva molto caldo. Mi fermo sulla spalletta di un ponte e guardo.

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Sono quasi alla fine della mia giornata, ma sono curioso di sapere dove si trovano le sorelle Bricole. Faccio partire la domanda con il gabbiano- postino. Ritorna a becco asciutto. Ho capito che mi ci vuole ancora un po’ di pazienza. Faccio finta di andarmene via, ma il solito soffio di vento mi porta le loro parole: “Te ne vai già via? Abbiamo ancora qualcosa da raccontarti. Vieni giù dal ponte e avvicinati alle nostre amiche che con noi indicano il canale. Se sarai paziente, ci riconoscerai”. E così, di corsa, mi avvicino alla riva. Sento un sussurro musicale, accompagnato dalle grida dei gabbiani che si stavano preparando per andare a caccia di…sacchi dell’immondizia. Erano un po’ arrabbiati, perché con la raccolta differenziata avevano meno possibilità. Forse era meglio così. Avrebbero ripreso ad essere quello che erano: uccelli liberi che volavano nel cielo, lasciandosi cullare dal vento. Provo ad ascoltare con più attenzione, ma un suono di campane, da tutti i campanili della città, si unisce a questa musica. Forse stavano facendo le prove generali per la festa di san Marco. Poi, come d’incanto, tutto tace e allora le parole arrivano più chiare alle mie orecchie “l’invisibile diventa visibile; se ci metti cuore, tutto diventa più facile; non dimenticarti del passato: lì c’è una parte della tua vita…”. Le altre parole non riuscivo a sentirle. Allora una delle tre Sorelle Bricole (BR3, la più giovane) cominciò a cantare e spinse le altre due a danzare. Mi misi gli occhiali per vedere meglio. Sembrava che tutto nella laguna si stesse muovendo e che all’orizzonte qualcosa stesse arrivando. Forse erano delle navi, delle barche, delle gondole…non riuscivo bene a distinguere. C’erano, credo, dei personaggi, vestiti alla veneziana. Qualcuno, ecco, mi sembrava di conoscerlo. Sì, era lui, Jacopo Tintoretto con la figlia Marietta che stava discutendo con l’altro figlio Domenico sul quadro da lasciare sopra la porta della sacrestia di Madonna dell’Orto (era la presentazione di Maria al tempio e aveva chiesto a Marietta di posare per lui). Poi tutto scomparve o forse mi ero sbagliato a vedere. Ma le Sorelle Bricole erano ancora là, un po’ invecchiate. Avevano (mi hanno confidato) paura di essere rimpiazzate con altre di plastica dura. “Speriamo di no” dissi loro “Siete così affascinanti e devo venirvi a trovare un’altra volta. Porterò un quaderno e scriverò tutto quello che mi direte e farò sapere a tutti che qui, a Fondamenta Nove, ci sono le sorelle Bricole, le migliori del mondo!”.

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