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PROVERBI AFRICANI.84. LA SALVAGUARDIA DELLE TRADIZIONI CULTURALI

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Benchè la tradizione sia generalmente riportata agli antenati, la tradizione è un affare dei viventi. Dal punto di vista dell’individuo che nasce e cresce, la tradizione è ciò che egli trova già lì presente nella realtà della sua comunità, istituita e vissuta. Ciò che i primogeniti già vivono e insegnano, ciò che l’educazione dei genitori inculca e che l’individuo interiorizza.

Senza i viventi che la trasmettono, la tradizione non viene assimilata.

Quindi la tradizione è sempre un’attualità. Essa è senza dubbio una memoria, ma una memoria per il presente e nel presente. E’ un certo modo di guardare il presente e il futuro immediato. Non è l’antichità come tale che fa la tradizione, ma l’unanimità, il consenso attuale dei viventi di un certo gruppo. E non è l’attestamento da una persona competente e bene informata, in quanto tale, ma in quanto è abilitata dalla società attuale come portatrice della tradizione. I vivi hanno coscienza di essere i trasmettitori della sapienza degli antenati e non sono i creatori. La tradizione riporta agli antenati, e dietro di loro, a Dio.

Chiunque violi le consuetudini, si espone alla vendetta degli antenati e di Dio.

Quando ci si chiede cosa significhi questo ricorso agli antenati, anche attraverso dei riti che ci riportano all’inizio (un tempo mitico), gli Africani rispondono che E’ COSI’, E’ SEMPRE STATO COSI’. La consuetudine non piò cambiare, è stata instaurata e praticata dai nostri antenati.

Passiamo ai proverbi per essere un po’ più chiari.

“La Chiesa ha soppresso gli “è interdetto” (Tutsi, Rwanda) (all’inizio dell’evangelizzazione spesso si sono soppresse tante tradizioni, pensando che fossero tutte negative. Ora con gli studi si comincia a capire meglio quelle che aiutano a far crescere l’uomo e quelle che invece non rispettano i suoi diritti). Come già detto, chi non rispetta o va contro le tradizioni, prima o tardi sarà sanzionato. “Puoi lavorare nel giorno festivo, ma il fulmine conserva la parola nel suo stomaco” (Tutsi, Rwanda) (la Bibbia parlerebbe di reni). Non si devono dimenticare le tradizioni.

Non sono qualcosa di folcloristico, ma sono impregnate della vita dei nostri antenati, della loro esperienza che ci può aiutare ancora oggi (dopo tutto, i cristiani leggono e ascoltano anche l’Antico testamento). “L’acqua calda non dimentica che fu prima fredda” (Hutu, Rwanda). In tutti i popoli, prima che nascesse una qualsiasi forma di scrittura, tutto si trasmetteva per via orale. “Il vecchio occhio finisce, il vecchio orecchio non finisce” (Minyanka, Mali). Le tradizioni si trasmettono di generazione in generazione. Ricordiamoci il racconto della notte d Pasqua, quando il bambino chiede al padre, perché si fanno queste cose (agnello, erbe amare…) in quella notte. “Se la pernice vola, il suo piccolo non resta a terra” (Mossi, Burkina Faso).

Ognuno è invitato a conoscere le proprie origini.

Quanti vanno alla ricerca del proprio albero genealogico per vedere se tra gli antenati ci fu qualche personaggio famoso…di cui vantarsi! “Se non sai dove vai, sappi almeno da dove vieni” (Serer, Senegal). Non dimentichiamoci che i nostri antenati, i primi, vengono dall’Africa( visto che oggi gli africani sono disprezzati…quindi disprezziamo i nostri antenati!).

Bisogna restare fedeli alle tradizioni, non tanto all’esteriorità, ma al valore che c’è dentro (il saggio padrone di casa tira fuori dal suo tesoro cose nuove e cose vecchie, dice Gesù). “Malgrado il suo soggiorno su un baobab, l’uccello non dimentica il suo nido nel piccolo albero” (Massango, Gabon).



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