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Per noi, abituati alla messa domenicale (quando ci andiamo), il vedere come in Africa si vive la fede quotidiana è qualcosa che ci fa riflettere molto. Molte volte mi sono chiesto chi dava loro la forza di lavorare e di testimoniare la loro adesione a Gesù Cristo.

Poi, quando ho cominciato a frequentare, sia in Congo che in Camerun, le Comunità di base (comunità di quartiere), ho cominciato a capire tante cose e ad entrare in crisi. Vedevo questi miei fratelli e sorelle, in tutta semplicità, dopo il lavoro, l’insegnamento a scuola o altri impegni, riunirsi una volta alla settimana, nella chiesetta del quartiere o in una casa del responsabile della comunità e…cosa facevano di tanto strano?

Niente di speciale, ma…era vita vera, vissuta fino in fondo.

Normalmente era il responsabile che introduceva l’incontro, dopo essersi salutati a vicenda e aver accolto le persone nuove che venivano per la prima volta. Dopo il canto iniziale, veniva letta la Parola di Dio, a cui seguiva un momento di silenzio. Poi, in tutta semplicità, dopo alcune parole di spiegazione, chi voleva, diceva quello che aveva capito o faceva delle domande per capire meglio.

Tutto veniva trasformato in preghiera spontanea.

E si passava alle cose concreta, alla vita della piccola comunità. Problemi, difficoltà, gioie e dolori. C’era chi parlava delle situazioni di alcune persone (povere, ammalate, sole, in carcere, vedove…) e ci si chiedeva che cosa si poteva fare per loro. Non solo si pensava a una raccolta fondi, ma soprattutto di andare a condividere con loro il proprio tempo (es.: coltivare il campo, pulire la casa, fare dei lavoretti, comperare qualche medicina, portare da mangiare ai carcerati…).

Si parlava anche di come aiutare coloro che avevano iniziato il catechismo, come aiutarli a capire meglio cosa vuol dire essere cristiani. Naturalmente le notizie della parrocchia avevano il loro posto. Non si è soli, ma la parrocchia è l’unione di tutte le comunità e ci si sentiva uniti per vivere le diverse iniziative insieme (Natale, Pasqua, festa del ringraziamento, festa patronale, battesimi….e tante altre belle cose, tra cui lavorare per rendere più bello il terreno intorno alla chiesa, per accogliere le persone la domenica).

E infine come fare dei lavori che potessero portare qualche soldo per le spese della piccola comunità, oltre che ad aiutare i poveri. L’incontro era un vero momento di condivisione e di ricarica interiore per vivere meglio la vita di ogni giorno. Si condivideva alla fine un po’ di cibo che ognuno aveva portato.

Anche questo piccolo gesto concreto faceva vedere che la comunità cresce, se ognuno fa qualcosa.

Si chiedeva anche la disponibilità di qualcuno per fare catechismo, per la pulizia della chiesa, per l’educazione dei giovani, per lavorare nella caritas…Ognuno doveva sentirsi a proprio agio. Quella diventava la propria casa a cui invitare anche altre persone nuove. Ogni volta che ritornavo a casa, mi venivano davanti agli occhi le cose viste e sentite. Questo mi incoraggiava a continuare il mio servizio in mezzo a loro.

Mi sentivo insieme con loro una cosa sola e questo mi faceva stare bene.



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