Un pezzo d'estate ... made xaverian missionaries
“… Padre posso bucare una gomma del pulmino, non voglio partire …
risposta: solo una … almeno due o tre ”
Questa richiesta di Chiara esprime il desiderio di rimanere il questa terra, che tanto ha sofferto ma che tanto sa dare.
Una battuta che diventa la sintesi dell’esperienza di un gruppo di 10 giovani e 6 adulti che dal 15 al 27 agosto ha vissuto un viaggio di conoscenza e servizio in una parrocchia della periferia nord di Tirana nel quartiere di Bathore.
La chiesa parrocchiale ha nel suo intorno 3 moschee, ci si sveglia il richiamo del muezzin … un particolare che non ci ha infastidito ma che dice molto sul dove eravamo.
I ragazzi si sono coinvolti con un grest parrocchiale dove gli italiani interagivano con un folto gruppo di animatori albanesi, e grazie a dei giovani albanesi che si sono prestati come traduttori, è stata possibile la conduzione di 6 laboratori per bambini e tre corsi pomeridiani (italiano inglese e chitarra). Dei 70 bambini partecipanti l’80% era mussulmano.
Il servizio ai piccoli è stato condito da un programma di incontri, testimonianze e visite per conoscere la storia, la cultura, le religioni e la ricchezza del vissuto di fede della chiesa albanese.
Abbiamo ascoltato le sfide che i ragazzi devono affrontare per realizzare i loro sogni.
Ascoltiamo cosa ci racconta Chiara come sintesi del suo vissuto:
“Un popolo che si è andato a prendere un posto nel mio cuore, colmo di contraddizioni e di cui probabilmente ancora adesso i dubbi da chiarire restano molti.
E la mancanza di una lingua comune è stata ai miei occhi una benedizione perché nonostante inizialmente le paure fossero molte, si è andata ad instaurare una comunicazione fatta di emozioni pure; c’è stata l’occasione di scoprire che alle volte o forse il più delle volte non servono molte parole, ma uno sguardo, un sorriso, o un abbraccio trasmettono di più. In questi giorni il mio cuore si è scaldato continuamente incrociando tutti quegli occhi dei ragazzi albanesi, quegli occhi che comunicavano continuamente la voglia di vivere, la voglia di riscatto.
Un gruppo di ragazzi che mi ha personalmente donato tutto il suo affetto e amore. Una grande comunità da cui prendere esempio, dove musulmani e cristiani ogni giorno convivono assieme senza distinzioni.
Persone “grandi” che mi sento di dover ringraziare, una ad una perché ciascuna di loro ha fatto in modo tale che questa esperienza, inizialmente temuta, potesse donarmi così tante emozioni che custodirò e di cui farò strumento nella mia vita. Persone con cui ho condiviso la mia cultura e dalle quali attraverso i balli, attraverso i racconti e la collaborazione ho appreso l’impensabile.
Spaventata e accolta da un gruppo di bambine corse per conoscere l’ignoto, me ne torno con una grande felicità, una gioia di vivere che tutti, uno ad uno mi hanno trasmesso giorno dopo giorno.
Una gioia fatta di semplicità, ma che profuma di meraviglia.
La meraviglia che ha illuminato per tutto il corso dell’esperienza e illumina ancora adesso il cuore e gli occhi. Grazie a ciascuno dei miei compagni di viaggio per l’accoglienza e i momenti di condivisione, per la gioia espressa, per le lacrime asciugate, per i sogni e le speranze scambiati, per la complicità creatasi, per tutti i momenti in cui mi hanno fatto sentire amata, e grazie grazie grazie a tutti perché ognuno è stato un pezzo prezioso di un puzzle che si è incastrato perfettamente. “