[dal sito delle Missionarie Saveriane Italia - Scritto da Milka Nonini, mmx] *
Milka Nonini, missionaria in Giappone, racconta un aspetto della sua missione: la “catechesi della cucina”.
La prima fase
Era il 1992, quando, insieme a una sorella giapponese, aprimmo la comunità di Miyazaki, nel Kyushu, l’isola più meridionale del Giappone, ove esiste una piccola parrocchia di circa trecento cristiani.
Partecipando agli incontri di un gruppo di persone con handicap, un giorno la responsabile mi chiese di preparare insieme a loro qualche piatto italiano. Spaghetti, scaloppine, patate trifolate, tiramisu, ... questo cibo preparato insieme dovette piacere molto, perché la settimana dopo mi chiesero di fare la stessa cosa in un centro di persone anziane. L’iniziativa venne trasmessa dalla TV nazionale e da allora ho avuto molte richieste per lezioni e corsi di cucina italiana.
Negli asili cattolici mi chiamavano per insegnarla alle mamme. Il Comune mi chiese di dare lezioni in un centro culturale di quartiere. Chiesi di limitare le iscrizioni a venti persone che divisi in quattro gruppi. Erano tutte donne, soprattutto sposate e mamme. Il giorno prima facevo le spese e poi cucinavamo insieme, mangiavamo quanto avevamo preparato e riordinavamo l’ambiente. Erano soprattutto apprezzati i primi piatti. Su richiesta delle partecipanti, davo anche lezioni di galateo della tavola.
Nessuna delle partecipanti era cristiana ed era proibito parlare di religione. Venivo però sempre presentata come missionaria cattolica e in fondo alle ricette, nel paragrafo “Nutrimento del cuore” presentavo una frase della Bibbia perché diventasse un insegnamento di vita.
Si creava fra noi un clima di familiarità e di amicizia che dava spazio anche a confidenze.
Qualcuna mi invitava a casa sua o veniva da me per parlare. Alcune chiesero di partecipare agli incontri biblici della parrocchia. A Natale, le invitavo a venire alla chiesa per cogliere il senso di questa festa, al di là del clima consumistico dominante.
Un giorno, al temine di un corso, una signora mi disse sottovoce: "Sai, sono anch’io una cristiana della tua parrocchia”. “Non ti ho mai visto, sei una ‘cristiana nascosta’?”, risposi, evocando i cristiani nascosti che, durante le persecuzioni, per duecento anni, si sono tramandati la fede di padre in figlio. La invitai a venire a casa. Mi confidò che si era sposata con un cristiano dal quale aveva avuto tre figli, ed ora era sposata civilmente con un altro cristiano. Aveva ottenuto l’annullamento del primo matrimonio dalla Sacra Rota ma da tanto tempo non frequentava la chiesa e non sapeva come riprendere contatto. Un mese dopo, con un ristretto numero di persone, ha celebrato il rito del matrimonio in chiesa.
La ripresa
Nel 2000 interruppi questa attività per altri compiti, fino al 2012, quando ho ripreso a Miyazaki la “catechesi della cucina” nel centro di quartiere e anche in un centro commerciale. I dialoghi spesso continuano oltre il tempo del corso in incontri personali, anche se non andiamo in profondità.
Ho potuto così conoscere un po’ di più il mondo delle donne giapponesi.
Colgo in esse una specie di insoddisfazione, scontentezza; le relazioni fra loro sono spesso sofferte. In sintonia con l’ambiente, la donna giapponese cerca di non perdere la faccia, di essere la prima, ricevere onore e quindi si sente in competizione, anche se di fronte a responsabilità da assumere, tende a tirarsi indietro.
Spesso i mariti sono assenti per il lavoro e molte donne si sentono sole e cercano di organizzarsi; hanno creato per esempio il gruppo “un tè fra mamme”: anche con loro facciamo delle lezioni di cucina.
Quarant’anni… e torno volentieri
Sono ormai da quarant’anni in Giappone. È stato il mio primo amore, da quando, da giovane, avevo letto un libro su Francesco Saverio che parlava del Giappone e dei Giapponesi in un modo positivo.
La testimonianza di fede dei pochi cristiani, la gioia di accompagnare alcuni al Battesimo ha aumentato la mia fede.
In Giappone ci sono 800 mila cristiani, di cui la metà immigrati stranieri, su 120 milioni di abitanti.
Che cosa trattiene i Giapponesi dall’accogliere il Vangelo?
Forse il benessere e l’efficienza: lavorano tanto e non hanno tempo né voglia di porsi certe domande; inoltre, il cristianesimo è considerato ancora la religione degli stranieri. Anche il Buddhismo è in declino: vi ricorrono per i funerali, e del resto molti li celebrano in casa per non spendere. Certi scelgono i funerali cattolici perché danno una speranza, però difficilmente vanno fino in fondo alla loro ricerca. Il vero nemico oggi è l’indifferenza, incoraggiata da una tecnologia che occupa tempo e pensieri.
Nelle canzoni giapponesi c’è sempre un velo di tristezza di fronte alla vanità della vita.
La esprimono bene le canzoni sui ciliegi, dai fiori splendidi ma che subito cadono. L’impatto delle catastrofi ambientali di questi ultimi anni - terremoti, tsunami, inondazioni - ha destabilizzato la vita di tante persone; molti hanno perso in un momento tutto ciò che sosteneva la loro vita. Dando e ricevendo solidarietà, hanno cominciato a riscoprire l’importanza delle relazioni personali, l’importanza della vita.
Via privilegiata dell’annuncio è l’incontro, l’amicizia, la prossimità, la relazione e la testimonianza della gioia. Chi ha accolto la fede cristiana racconta di un incontro con un missionario, dell’invito di un’amica, o della scuola cattolica che ha frequentato nell’infanzia. Mi sento su questa via e torno volentieri in Giappone, per continuare questo percorso di condivisione, di presenza, di offerta di amicizia, senza grandi pretese, ma col vivo desiderio che qualcuno si apra all’incontro con Gesù.
È la “predicazione informale” che ci suggerisce Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium:
“Essere discepolo significa avere la disposizione permanente di portare agli altri l’amore di Gesù e questo avviene spontaneamente in qualsiasi luogo, nella via, nella piazza, al lavoro, in strada” (n. 127).