A New York si può ammirare l'umanità in passerella. Mi trovo in fila per il controllo passaporti con persone di ogni lingua, colore, nazionalità. Ci accoglie un poliziotto alto e robusto che sfoggia un bel turbante Sikh in testa. Più avanti due agenti color ebano controllano i nostri passaporti. Mi avvicino per il ritiro bagagli. Davanti a me vedo una ragazza cinese che sembra una statuetta di maiolica. A lato un gruppo di ragazzi americani si scambiano abbracci e auguri per le vacanze di Natale. Uno si avvicina per aiutarmi. Sorride e mi parla in italiano con l'accento abruzzese dei suoi nonni. Sorrido anch'io. Un suo compagno, a braccetto con una ragazza biondissima, mostra il volto costellato di lentiggini, eredità genetica di qualche antenato inglese. Entro in un taxi-pulmino con una decina di persone. Sono seduto vicino ad una giovane coppia di turisti provenienti dall'Australia. Lei è di origine canadese; lui dice qualche parola in italiano e spiega che i suoi genitori erano marchigiani, emigrati in Australia negli anni Quaranta per sfuggire ai disagi della guerra. In un angolo una signora compassata, piacevolmente sorpresa dall'esuberanza italo-australiana, parla della sua origine britannica. È qui in vacanza nella grande città. L'autista del pulmino è egiziano, venuto negli Usa dieci anni fa con regolare permesso di lavoro. Passiamo attraverso il quartiere ebraico. Vedo un gruppo di ebrei osservanti, col cappello nero in testa e filatterie bianche che sporgono sotto il cappotto. Qui ci sono tutte la nazionalità e le fogge della terra: donne indiane che procedono maestose nei loro shari multicolori, uomini d'affari in cravatta e camicia bianca, giovani in jeans sbrindellati, segretarie che si muovono in fretta con un caffè in mano, qualche barbone negli angoli delle strade. In albergo i valletti e le donne di pulizia sono chiaramente latino americani. È un via vai continuo di esseri umani. Quanto grande, fantasioso e creativo è il nostro Dio! Noi sotto gli altissimi grattacieli sembriamo lillipuziani.
Siamo in pieno periodo natalizio. La città è illuminata a giorno. Le luci si rincorrono sui fianchi dei grattacieli. Si sovrappongono, cambiano colore, coprono come un grande schermo i lati dei grattacieli. Una fantasmagoria di luci, di messaggi, di annunci. La città non dorme mai.
Mi sono risuonate alla mente le parole del profeta Isaia: "Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce". Alzo lo sguardo. I grattacieli sono una foresta di mani alzate verso l'alto. Al di sopra non vedo più la luce. Cerco una stella che viene dall'oriente. È una luce diversa. Mi guida a trovare il divino nell'umano. Vedo un bagliore nello scantinato di un palazzo. "Vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: è nato per noi un salvatore". Sento gli angeli cantare sui gradini dello scantinato: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Egli ama".