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Salmo 89: Missione come compagnia della Speranza

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Il Salmo 89 è uno dei più tragici del salterio e, per questo, non è facile stabilirne l’epoca della composizione: le tragedie sono ricorrenti nella storia e la vicenda di Israele ne attesta numerose. Il salmista si fa portavoce di una comunità che vive il dramma della sconfitta e dell’oppressione. Si tratta di una composizione estesa (52 versetti), divisa in tre partiun inno (vv. 2-19), seguito da una lunga riflessione sull’oracolo che il Signore, per bocca del profeta Natan, proferì a favore di Davide e della sua discendenza (vv. 20- 38: cfr. 2Sam 7); l’ultima parte si concentra sulla penosa situazione presente, in contrasto con la promessa fatta al re e, nel tono della supplica, conclude sollecitando l’intervento di Dio, appellandosi alla sua grazia e alla sua fedeltà. Si passa dunque dall’ottimismo e dalla fiducia, espressi nella parte iniziale, alla profonda angoscia che trapela nelle suppliche conclusive.


INNO AL DIO FEDELE

La prima parte del Salmo inizia con un tono ottimistico, inneggiando alla bontà e alla fedeltà del Signore: 

Canterò in eterno l’amore del Signore, di generazione in generazione farò conoscere con la mia bocca la tua fedeltà, perché ho detto: “È un amore edificato per sempre; nel cielo rendi stabile la tua fedeltà”. “Ho stretto un’alleanza con il mio eletto, ho giurato a Davide, mio servo. Stabilirò per sempre la tua discendenza, di generazione in generazione edificherò il tuo trono”. (vv. 1-5)

Se qualcuno dubita che Dio possa attuare la sua promessa, o che la sua fedeltà arrivi a tanto, il resto dell’inno gli ricorda che si tratta del Dio incomparabile e terribile (vv. 6-9), vincitore delle forze del caos (vv. 10-11), creatore (vv. 12- 13), re potente (v. 14) il cui trono si basa su giustizia e diritto, alla cui presenza stanno amore e fedeltà (v. 15). Un simile Dio è per il popolo garanzia di benessere e pace (vv. 16-19).

NONOSTANTE LE INFEDELTÀ UMANE

La seconda parte – l’oracolo profetico – si divide in due parti e illustra in che cosa consiste l’alleanza di Dio con Davide. Nella prima parte si parla del re: si menzionano la sua elezione e la sua consacrazione (vv. 20-21), la protezione divina contro i nemici (vv. 22-24), l’esaltazione del re, garantita dall’amore e dalla fedeltà divina (vv. 25-26), la sua relazione filiale con Dio (vv. 27-28). Nella seconda parte si parla della discendenza e ci si concentra sull’alleanza stipulata con Davide (vv. 29- 30 e 37-38), che fa da cornice alla condotta che Dio seguirà in caso di ribellione: se peccano (vv. 31-32) li castigherà (v. 33), però il suo amore e la sua fedeltà rimarranno stabili per sempre (vv. 34-36).

In realtà l’oracolo di Natan in 2Sam 7 lasciava intendere che la dinastia di Davide, anche in caso di infedeltà, potesse contare sulla fedeltà indefettibile di Dio e dunque che non avrebbe mai perduto il trono: in 2Sam 7 non si parla, infatti, di alleanza, cioè di un patto a cui i due contraenti sono vincolati. Il profeta si esprimeva nei termini della promessa e del solenne impegno divino: il futuro non dipende dalle scelte umane, ma dall’amore e dalla fedeltà del vero sovrano, cioè Dio.

L’orante del Salmo deve invece fronteggiare la dura realtà che contraddice l’antica promessa, sulla quale si concentra l’ultima parte della composizione:

Ma tu lo hai respinto e disonorato, ti sei adirato contro il tuo consacrato; hai infranto l’alleanza con il tuo servo, hai profanato nel fango la sua corona. (vv. 39-40)

Sempre focalizzando la sua attenzione sul sovrano, l’autore prosegue descrivendo la distruzione delle sue fortezze e del saccheggio (vv. 41-42); accusa inoltre Dio di aver sostenuto i suoi nemici, mentre ha abbandonato il suo consacrato a una sorte ignobile (vv. 43-44), detronizzandolo e umiliandolo:

Hai posto fine al suo splendore, hai rovesciato a terra il suo trono. Hai abbreviato i giorni della sua giovinezza e lo hai coperto di vergogna. (vv. 45-46)

Il lamento termina con una supplica, nella quale si adducono motivi per commuovere Dio: la brevità della vita umana (vv. 47-49) e l’amore a la fedeltà giurati a Davide (vv. 50-52).

DI FRONTE AD UNA STORIA ASSURDA

Non è facile situare nel tempo la composizione del Salmo, mentre è chiara la sua presa di posizione di fronte ad avvenimenti tragici e all’apparenza privi di sbocco. Quando la nazione vive un’esperienza tragica ci si interroga sulle cause della stessa: in una cultura secolare come la nostra l’accusa è motivatamente rivolta alle scelte politiche dissennate che molto spesso punteggiano la storia delle nazioni; di questo modo di leggere le vicende umane è testimone Ezechiele, il quale denuncia i “pastori” ai quali Dio aveva conferito la guida del suo gregge: tutti costoro si sono rivelati canaglie, profittatori e sfruttatori del popolo loro affidato (cfr. Ez 34).

L’orante del Salmo non si accontenta, però, di fare un’analisi politica: egli chiama qui in causa Dio, perché nella sciagura che ha colpito la sua nazione egli vede messa in crisi la sua fiducia nella lealtà di Dio.

La sua angoscia è causata dal fatto che la storia sembra mettere un’ipoteca sulla promessa divina. Per questo la domanda del v. 48 è emblematica: “Ricorda quanto è breve la mia vita: invano forse hai creato ogni uomo?”. Questa fragile creatura che è l’essere umano è solo un piccolo giocattolo inventato da una divinità capricciosa che si diverte a illuderlo per poi sbarazzarsene alla prima occasione? La fede è un pressante invito a fondare la propria vita sulla promessa di Dio e questo vale per il discendente di Abramo, come per il discepolo di Gesù di Nazareth; lo sguardo alla storia sembra tuttavia spesso chiudere ogni prospettiva di futuro.

LA MISSIONE DEL CREDENTE

A questo livello si colloca, però, la speranza che anima il credente nel Dio che si è rivelato al Sinai e che ha strappato dalla morte il suo Figlio: a chi accoglie la sua promessa, Dio non chiede di guardare di là della storia, ma di farsi protagonista della costruzione del futuro che non è mai una banale ripetizione del passato. Un tempo Dio ha realizzato la promessa fatta ai Padri, donando loro la terra e offrendo loro la possibilità con Davide di edificare una nazione rispettata e ben governata.

Il fallimento dell’esperienza politica ha in seguito insegnato a Israele che ogni attuazione umana è sempre precaria, perché la creatura umana si dimentica presto di quali sono le condizioni che danno stabilità a una società: la giustizia e il diritto (v. 15). Per questo Israele per lungo tempo ha invocato da Dio un nuovo re che ripristinasse ciò che era stato sconvolto:

O Dio, affida al re il tuo diritto, al figlio di re la tua giustizia; egli giudichi il tuo popolo secondo giustizia e i tuoi poveri secondo il diritto. (Sal 72,1-2).

FARSI COMPAGNO DI VIAGGIO DELLA SPERANZA

Per il cristiano la promessa a Davide ha trovato realizzazione in Gesù (Lc 1,68-70), ma non come ristabilimento di un regno o di una discendenza: in lui la grazia e la fedeltà di Dio si sono manifestate nella sua attenzione ai poveri, anzi al farsi povero con loro, rinunciando a tutti i mezzi con cui gli umani instaurano nel mondo progetti di potere. Senza violenza, senza apparato, senza corte: una realizzazione della promessa che contrasta con le immagini di Dio che lo vogliono invece sovrano circondato da una corte prostrata ai suoi piedi o ammantato d’oro e pietre preziose.

“Un volto di Dio che non coincide affatto con quello a cui anelano i nostri desideri infantili. Questi sono alla ricerca di un essere trionfante, che intervenga subito a cancellare ogni paradosso e tragedia di questo mondo; un essere la cui presenza si imponga con evidenza tale che non sia più possibile dubitarne, e non ci sia neppure più bisogno di credere” (Xavier Thévenot).

In lui Dio si fa compagno di viaggio, anzi egli stesso diventa il viaggio: una vita spesa per chi è privo di speranza, consolando e facendo del bene a tutti...

chi ora celebra la memoria di Gesù è invitato a intraprendere quel viaggio, per offrire consolazione e speranza.



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