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Salmo 143: Missione, Testimonianza della bontà di Dio

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Il Salmo 143 è l’ultimo dei sette salmi penitenziali. Il v. 2, dichiarando che ogni essere umano è peccatore, è stato uno dei punti di partenza della riflessione di Paolo, soprattutto nelle lettere ai Galati e ai Romani (dove è citato in 3,20). Espressioni come “io sono il tuo servo” (v. 12); “sei tu il mio Dio” (v. 10), solo apparentemente cerimoniali, possono nascondere alcune pretese, come insegna Gesù raccontando la parabola del fariseo e del pubblicano.

Non è raro infatti, dal punto di vista umano, gettare in faccia a Dio la propria fedeltà, la propria lealtà nei suoi confronti, soprattutto i tanti costi a cui lo stare dalla parte di Dio sottopone. Così come non è raro che un uomo religioso divida il mondo in giusti ed empi: e il Dio santo dovrebbe prendere posizione!


UN’ACCORATA SUPPLICA FONDATA SULL’AMORE DI DIO

A prima vista il salmo può lasciare un po’ perplessi e si potrebbe essere tentati di leggervi una visione oscura della condizione umana. Ci sono tuttavia dei segnali che questo non è il punto di vista dell’orante. Egli infatti non rivendica alcuna giustizia propria: solo YHWH possiede fedeltà e giustizia (v. 1), anzi “davanti a te nessun vivente è giusto” (v. 2). Vi è una chiara sintonia tra quanto afferma il salmista e l’affermazione del saggio: «Chi può dire: “Ho la coscienza pulita, sono puro dal mio peccato?”» (Pr 20,9).

Si inizia con un’accorata supplica, fondata sull’amore di Dio, sulla fedeltà alle sue promesse (v. 1), motivo ripreso nel v. 5, quando il salmista fa memoria di quanto Dio ha fatto nel passato per lui e per il suo popolo, ricollegandosi a un argomento che echeggia anche altrove nelle invocazioni bibliche: «Nell’oscurità si è certi che Dio non tacerà per sempre e il “ricordo” memoriale delle sue opere salvifiche passate è uno stimolo a far sì che egli torni a intervenire» (G. Ravasi).

NELL’ANGOSCIA OPPRIMENTE DELL’INGIUSTIZIA GRATUITA

Eppure la vita si presenta talvolta con un immenso carico di ingiustizia, anche per chi serve con impegno Dio: tutto il salmo è ritmato dall’angoscia che opprime l’orante, a causa della persecuzione cui lo sottopongono i suoi nemici. Non va dimenticato che il fedele in questo caso non legge tale situazione come una punizione divina per un peccato che egli avrebbe commesso.

Il male non si spiega soltanto con un rapporto diretto colpa-castigo: vi è tanto male per così dire gratuito, perché ci sono bambini che muoiono, innocenti perseguitati, malattie che stroncano giovani vite. Da che parte sta dunque Dio?

IL SALMISTA COME ETTY HILLESUM

Anche chi crede talvolta si scontra con il volto nascosto di Dio (v. 7), non capisce più le vie di Dio (v. 8) e se valga la pena battere ancora i sentieri da lui indicati. Si tratta di un’aridità (v. 6: “come terra assetata”) che rimette in discussione una relazione: lo spirito vitale viene meno (v. 7).

Nel buio della sofferenza ci può essere chi si ribella a Dio, o chi, come Etty Hillesum scrive: “Dio non è responsabile verso di noi, siamo noi a esserlo verso di lui. So quel che ci può ancora succedere [...]. Le ultime notizie dicono che tutti gli ebrei saranno deportati dall’Olanda in Polonia, passando per il Drenthe. E secondo la radio inglese, dall’aprile scorso sono morti 700mila ebrei, in Germania e nei territori occupati. Se rimarremo vivi, queste saranno altrettante ferite che dovremo portarci dentro per sempre. Eppure non riesco a trovare assurda la vita. E Dio non è nemmeno responsabile verso di noi per le assurdità che noi stessi commettiamo: i responsabili siamo noi! Sono già morta mille volte in mille campi di concentramento. So tutto quanto e non mi preoccupo più per le notizie future: in un modo o nell’altro, so già tutto. Eppure trovo questa vita bella e ricca di significato”.

CHIEDE A DIO DI RIAFFERMARE IL SUO POTERE SUL MONDO

Anche il fedele che ha lasciato la sua memoria nel Salmo non demorde: egli invoca lo spirito buono di Dio (v. 10), affinché il suo vigore ritorni; chiede a Dio di riaffermare il suo potere sul mondo, facendo rivivere il suo fedele: infatti nella vita dei suoi fedeli si manifesta la signoria di Dio (il suo “nome”, v. 11) e con essa la sua giustizia.

Per chi prega con questo salmo, la giustizia divina si manifesta pienamente allorché il nemico è sterminato (v. 12), quando cioè coloro che opprimono i deboli saranno finalmente dalla parte degli sconfitti; una richiesta che accompagna tanti passi biblici che si fanno voce di chi non ha voce e che esplicitano il grido, ricordato dalla Bibbia, che sale a Dio fin dal primo essere umano vittima di violenza e oppressione (il giusto Abele).

ATTRAVERSO L’INTERRUZIONE DELLA CATENA DELLA VIOLENZA

Senza negare il valore di pagine come questa, il cristiano è tenuto, però, a ricordare che l’affermazione della giustizia di Dio non si ha soltanto nella sconfitta e nella morte dei nemici: in Gesù, Dio gli ha svelato che il suo potere si manifesta anche quando i suoi fedeli sono provati dalla persecuzione e dalla sofferenza. E che la vera vittoria sul nemico non è quella che decreta la sua fine, ma quella che fa volgere anche lui a Dio.

Gesù non muore imprecando contro i suoi uccisori, ma pregando per loro: ci apre dunque a una nuova solidarietà con il mondo invischiato nel male, quella attraverso la quale si può interrompere la catena della violenza, proclamando al mondo la “bontà” (v. 12: la Bibbia CEI traduce con “fedeltà”, ma il vocabolo ebraico esprime l’attitudine benevola e misericordiosa di Dio nei confronti delle creature) che sta al di sopra di ognuno e vuole raggiungere ogni mortale che non può rivendicare alcuna giustizia propria.



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