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Missione come compassione, Una prospettiva Latinoamericana

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La compassione di Dio potrebbe essere la traduzione della sua missione in un tempo in cui impera la corsa al profitto a qualunque costo, la distruzione della natura, l’insensibilità per la sofferenza di milioni di esseri umani. Davanti a questa situazione, dobbiamo perseguire un’alternativa possibile. Questa ricerca non è solo di ordine politico, economico e sociale. Essa sfida pure le Chiese e le loro risposte teologiche ai segni dei tempi. Da qui l’importanza di pensare missione e teologia a partire dalla compassione.

Non sarà però facile scommettere sulla compassione divina se consideriamo solo la testimonianza delle Chiese cristiane.

La loro divisione storica, gli scandali che minano la credibilità del Vangelo della pace, della giustizia e della riconciliazione, fanno tremare le fondamenta delle Chiese che confessano Gesù come Signore e Maestro. Perciò, senza la presenza dello Spirito Santo che trasforma Chiese e persone, ci sarebbe poco da fare. Come scriveva José Comblin, è nella forza dello Spirito che la Chiesa compie la propria missione: “Lo Spirito è colui che rivela Cristo alle nazioni. Noi lo annunciamo, ma non sappiamo come lo conosceranno. Quello che conta è la presentazione di Cristo come lui si è presentato: attraverso le vie dell’umiltà e della croce. Il Cristo della missione non sarà un discorso umano su Cristo, ma una presenza viva e reale di Gesù fatto uomo povero e senza potere, in un modo capace di risuonare nel cuore dei poveri. In questa maniera Cristo e lo Spirito sono uniti anche nella missione e solo la loro unità rende possibile la missione in quest’ora del mondo”.

Nella memorabile Veglia delle religioni, durante l’ECO92, a Rio de Janeiro, il Dalai Lama proclamò che il mondo intero ha bisogno di compassione: le persone, i popoli, le nazioni. Il cosmo intero chiede oggi a gran voce compassione. Questa parola va tradotta in pratica di vita, in programmi d’azione, in alternative di sopravvivenza, affinché un altro mondo sia possibile e l’umanità respiri di nuovo solidarietà. Bisogna prendere sul serio la sfida del buddhismo e cercare nella teologia cristiana come mettere in relazione la compassione di Dio con questa proposta di una compassione che mobiliti i cuori umani in vista di una nuova umanità.

LA COMPASSIONE È SORELLA DELLA GIUSTIZIA

La compassione di Dio diventa storicamente concreta quando è associata alla giustizia. Il Dio biblico è il Dio della giustizia. Queste due realtà traducono quanto possiamo intendere per amore di Dio o hesed, così centrale nel messaggio del profeta Osea. Alleata della compassione di Dio, la giustizia e tutto quanto collabora alla sua promozione rappresentano la dimensione profetica della missio Dei (missione di Dio). Dai due Testamenti, risulta chiaro che compassione e misericordia esprimono quanto il Dio di Gesù offre e simultaneamente attende dai suoi seguaci, discepoli, figli, figlie e, per estensione, dalla sua Chiesa.

COMPASSIONE TRA GIUDIZIO E GRAZIA

La compassione di Dio diventa reale solo quando la sua giustizia si rivela e si realizza storicamente. E la giustizia di Dio, dal punto di vista della teologia biblica, è giudizio e grazia, condanna e redenzione, morte e vita. Morte al peccato che distrugge la convivenza umana e risurrezione a una nuova vita di grazia e verità liberatrici. Il giudizio rivela la profondità del peccato umano e la sua separazione dalla fonte della vita e da ciò che è sacro (Am 5, 14-24; Mic 6,8). La grazia è la risposta amorosa di Dio, che non ha lasciato alla morte l’ultima parola, riconciliando, per mezzo di Cristo, l’umanità con se stesso, aprendo le porte della storia al nuovo, all’esperienza della vita in pienezza (Rom 11,32). Perciò in molti testi biblici, davanti all’esperienza della misericordia e compassione divina, resta solo l’atteggiamento del pubblicano che chiede clemenza: “O Dio, abbi pietà di me peccatore!” (Lc 18,13) o la dossologia, come fa Paolo in Rom 12,33-36.

COMPASSIONE COME LIBERAZIONE

Leonardo Boff afferma che Dio, assumendo la sofferenza, non ha accettato l’assurdità della croce come proprio limite. Egli assume l’assurdo “non per divinizzarlo, non per renderlo eterno, ma per rivelare le dimensioni della sua gloria che oltrepassano qualunque luce proveniente dal logos umano o qualunque oscurità proveniente dal cuore. Dio assume la croce in solidarietà e amore coi crocifissi. Dice loro: per quanto assurda, la croce può essere via di una grande liberazione. A patto che tu la assuma nella libertà e nell’amore”. Inoltre, L. Boff evidenzia come la sofferenza della lotta contro le ingiustizie e per la liberazione degli impoveriti presenti un’ineguagliabile dignità umana.

Lo stesso si potrebbe dire della sofferenza di chi è perseguitato a causa del Vangelo e dell’annuncio dell’amore di Dio. Questo tipo di sofferenza ha la capacità di denunciare il male del sistema che domina il mondo e negarlo perché vive della realtà dell’amore divino: “Perciò il sofferente, vittima della violenza del sistema, è libero e felice, preso dal vero Assoluto che dà senso alla persecuzione e alla morte. Il mondo che Dio ha promesso è tanto reale che nessuna morte, per quanto violenta, è subita come distruttrice”. L’incontro col Dio crocifisso, nella sua passione, propizia quindi una vera conversione, per mezzo della quale tutta la vita è rivalutata e prende una nuova direzione. È un’esperienza di grazia e perdono, speranza e libertà, che libera le persone da un passato schiavizzante, fornendo nuove basi su cui riorientare la vita. Altrove L. Boff spiega meglio questa esperienza come radicarsi in Dio, fondamento del nuovo essere, come accade nella vita di Gesù. Tale processo di conversione non finisce mai, essendo soggetto alla dialettica del peccatore-giusto/giustificato.

La teologia luterana chiama questo sola gratia, sola fide, che si traduce nel vissuto storico come l’essere oppresso che diventa libero e liberatore. L. Boff ha definito questo aspetto della vita di fede come homo simul iustus et liberatus, semper liberandus. L’essere umano è contemporaneamente giusto e liberato, sempre da liberare, a partire dalla croce e dalla speranza che da essa nasce: “Perché nella speranza siamo stati salvati” (Rom 8,24).

COMPASSIONE: LASCIARSI APPASSIONARE DALLA MISERICORDIA DI DIO

La missione di Dio implica la lotta per la vita. La resistenza contro l’amore di Dio è costante in questo mondo, tanto nelle istituzioni – Chiese comprese – quanto nelle nostre vite individuali. La dialettica della vita è fatta di peccato e grazia. Perciò bisogna lasciarsi appassionare dalla misericordia di Dio. Nel linguaggio profetico dell’Antico Testamento, l’idea è espressa con la metafora del “muoversi dalle viscere”. Dio ama l’umanità come una madre che fin dalle proprie viscere lotta per i propri figli e figlie. Solo i misericordiosi e puri di cuore conosceranno Dio (cfr. Mt 5,7ss).

Compassione è un tentativo di dimostrare che la missione riguarda tutte le persone e tutta la Chiesa.

Negli ultimi decenni in America latina molte Chiese hanno vissuto tempi difficili, di rinnovamento e persecuzione. Si può perfino affermare che c’è stata una riscoperta della forza trasformatrice del Vangelo, in termini di liberazione, in un’esperienza storica di cattività. In questo senso la missione che non incontra resistenza disconosce una dimensione centrale dell’esperienza della fede cristiana. Non c’è risurrezione senza croce. Per di più, la gloria è di Dio e la gloria di Dio, come diceva S. Ireneo, è l’essere umano vivente. Il rinnovamento della missione avviene proprio nei momenti di croce, in cui sperimentiamo, come persone e Chiese, i limiti della nostra passione e della nostra infedeltà. La speranza cristiana che nasce dalla croce e riceve il suo sigillo nella risurrezione non si fa illusioni. D’altro canto, Gesù stesso non lasciò dubbi: “Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi” (Gv 15,20; cfr. Mt 5,10ss).

COMPITI FUTURI

La missione come compassione esige, perciò, di essere svolta come teologia della missione che parta dai crocifissi di oggi, i quali gridano a Dio, che ascolta i clamori del suo popolo (Es 3,7-9); 1Re 8,30; Sal 116,1; Mt 7,7; Gc 5,16). Prima di tutto bisogna considerare la relazione tra missione e contesto, che richiederebbe di affrontare un’ermeneutica della missione. Rispetto alla dimensione liberatrice della missione, è necessario approfondire le sue relazioni con le culture e la pedagogia della speranza (Paulo Freire).

È poi indispensabile chiarire la sua dimensione ecclesiologica: la missione è il compito centrale della Chiesa e la sua primaria vocazione, ma, specie in una società segnata dalla concorrenza religiosa, essa non coincide col proselitismo. In tal senso urge una riflessione missiologica in prospettiva ecumenica, che rimanda alla credibilità della testimonianza del Vangelo, senza la quale possiamo disperdere gli sforzi che le Chiese compiono per la diffusione della Buona Notizia.

In seguito bisognerà sottolinearne la dimensione ecologica, per la difesa della natura di fronte al riscaldamento globale, all’effetto serra e alle annunciate catastrofi ambientali che questo secolo affronterà, con terribili conseguenze, soprattutto per i paesi più poveri e i settori più vulnerabili delle popolazioni del mondo. La teologia della missione parte dalla missio Dei e ricorda alla Chiesa che essa esiste per e con il mondo, interrogandola sulla dimensione missionaria della sua azione evangelizzatrice.

Bisognerà, infine, evidenziare il fondamento della teologia della missione: la relazione tra missione e spiritualità, intesa come l’ambito di azione dello Spirito liberatore di Cristo, che è il centro dell’agire di Dio in questo mondo.

In lui e seguendo i suoi passi impariamo a vivere la suprema libertà delle figlie e dei figli di Dio, che si traduce in amore, misericordia, solidarietà, compassione.


Passione di Cristo, passione del mondo: Deus sub contrario

Un’altra dimensione inerente a questa espressione parla della sofferenza, passio, che nella teologia cristiana ci rimanda alla passione di Cristo e, per estensione, dei crocifissi ieri e oggi. C’è una sofferenza che non ha senso. Ma il Vangelo annuncia che nella sofferenza di Cristo c‘è un dono e una promessa. Con la risurrezione Dio l’ha riscattato da una morte ingiusta e ha fatto in modo che il giusto trionfasse facendo rifiorire la speranza. Ciò nonostante, la croce è e continuerà ad essere scandalo, non potrà mai essere sminuita o soppressa. Perciò la teologia cristiana è paradossale.

Leonardo Boff l’ha evidenziato: “Dio deve essere cercato sub contrario. Là dove sembra non esserci, Dio è presente in misura massima. Questa logica contraddice quella della ragione. È la logica della croce, scandalo per la ragione, che sola ci permette l’accesso a Dio che altrimenti non avremmo. La ragione cerca la causa del dolore, del male. La croce non cerca causa alcuna, ma è la presenza massima di Dio nel dolore Dio. [La croce] deve rimanere tale, come un’oscurità davanti alla luce della ragione e alla sapienza di questo mondo”. Questa riflessione è importante nel contesto della compassione, perché altrimenti si cadrebbe facilmente nel dolorismo, tipico della religiosità latinoamericana.

L’accettazione della sofferenza non significa masochismo, ma, secondo la buona tradizione cristiana, lotta contro il male e resistenza al peccato.

In tal senso, la fede cristiana si oppone al destino inteso come qualcosa di già segnato per qualsiasi persona. Non è per caso che nella preghiera che Gesù ci ha insegnato sia detto: “E non lasciarci cadere in tentazione, ma liberaci dal male”. La tentazione del conformismo, della resa al non senso del dolore è reale. La preghiera di Gesù non ci promette di vivere senza tentazioni, ma ci insegna a non cadere in esse. Egli attende che resistiamo al male. (r.z.)



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