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LEADER VISIONARI UCCISI DA INTERESSI STRANIERI

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I primi anni delle indipendenze hanno visto la comparsa di leader visionari, che avevano sognato e lottato per la libertà e l’autodeterminazione della propria terra e speravano di traghettarla verso un radioso futuro. Aneliti frantumatisi contro la brutalità di interessi che non hanno esitato ad uccidere per fermare questi uomini straordinari, il cui patrimonio di idee, lotte, sogni, resta una pietra miliare nella storia del continente. 

Parliamo di uomini come Thomas Sankara e Patrice Lumumba, divenuti icone anche a seguito della morte cruenta. Ma ci sono anche il ghanese Kwame Nkrumah, primo leader ad ottenere l’autogoverno per il proprio paese, che lottò contro il neocolonialismo e sostenne il panafricanismo. O ancora il tanzaniano Julius Nyerere, padre della patria: garantì l’indipendenza senza guerra, avviò un programma di riforme, anche lui convinto fautore del panafricanismo. In tempi più recenti Nelson Mandela, campione della lotta anti-apartheid e dunque dell’effettiva indipendenza dei sudafricani dalla minoranza segregazionista che li opprimeva. 

Sankara e Lumumba, in particolare, sono ormai figure quasi mitologiche: le loro decisioni e realizzazioni, i loro scritti, i loro discorsi hanno contribuito a farne esempi di ciò che avrebbero potuto essere i loro paesi. I loro sogni vennero stroncati sul nascere da chi per invidia e arrivismo collaborò con le potenze occidentali per annientarli. 

Sullo sfondo, la guerra fredda e la paura che l’Africa finisse nell’orbita di Mosca. Molti leader di allora ebbero sostegno dall’Urss, ma erano probabilmente orientati a creare una via africana al socialismo. Via che venne soffocata sul nascere, sprofondando il continente nel baratro di dittature feroci. 

Sankara, in Burkina Faso, aveva non solo avviato un ambiziosissimo programma di riforme, ma soprattutto creato una leadership al servizio del popolo, spogliando il ruolo suo e degli altri politici e amministratori da ogni privilegio. 

Lumumba, primo ministro del Congo indipendente, ritenuto troppo filocomunista, fu arrestato, ucciso e sciolto nell’acido. Poche settimane fa, il Belgio ha restituito al Congo RD l’unico suo resto: un dente. Celeberrima la lettera di addio di Lumumba alla moglie, una sorta di testamento spirituale.

Ci sono poi leader delle indipendenze meno noti, come il camerunese Ruben um Nyobè, segretario del partito Upc (Unione delle popolazioni camerunesi), leader indipendentista, ucciso nel 1958 e colpito anche da una damnatio memoriae che per anni ne ha bandito il nome anche dai libri scolastici, tanto che tutt’oggi non lo conoscono per niente nemmeno molti camerunesi.

Oppure uomini che hanno semplicemente proseguito con la loro carriera politica, con scelte costruttive alternate ad errori, e dunque senza l’aura di intangibilità di chi è morto per la causa. Fra loro, ad esempio, l’egiziano Gamal Abdel Nasser, o il kenyota Jomo Kenyatta o ancora il guineano Sékou Touré.

Da ricordare infine una serie di personaggi che, nati come eroi nazionali, sono rimasti al potere, decadendo in un’involuzione che li ha trasformati in dittatori. È il caso, fra tutti, di Robert Mugabe in Zimbabwe e Muhammar Gheddafi in Libia: partiti con le più nobili intenzioni, la loro permanenza alla guida dello Stato si è negli anni trasformata in oppressione.



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