Perché una rivista missionaria dovrebbe occuparsi di welfare state, di politiche sociali, di sanità e scuola, insomma, di faccende italiane?
Da un ventennio, le direttive imposte dagli organismi finanziari internazionali, i “programmi di aggiustamento strutturale” e la globalizzazione neoliberista hanno acuito la miseria dei paesi poveri. Quelle ricette vengono oggi riproposte in Italia e i paesi del Sud hanno fatto da cavia della loro applicazione. Con esiti qualitativamente non difformi, anche se più drammatici per la loro fragilità socioeconomica.
Al contempo l’emergere del “movimento dei movimenti” ha riportato all’attenzione dell’opinione pubblica i grandi problemi dell’umanità (la fame, l’accesso all’acqua, ecc.), prima derubricati a “danni collaterali” trascurabili di un sistema presentato dai suoi corifei come “il migliore dei mondi possibili”.
La possibilità che questa mobilitazione planetaria crei le condizioni per la costruzione dell’”altro mondo possibile e necessario” dipende anche dalla sua capacità di svelare i nessi tra i drammi che si consumano nei paesi poveri e il disagio che si diffonde in quelli ricchi, di collegare le lotte che nel Sud come nel Nord puntano a garantire la sopravvivenza e a migliorare la qualità della vita, di costruire alleanze “per la dignità” tra lavoratori, consumatori e utenti dei servizi.
