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Isaia, un Profeta che annuncia la Pace

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Nella prima parte del libro che porta il suo nome, Isaia denuncia una situazione di crisi in due ambiti ben definiti: l’ingiustizia sociale dilagante e la politica sconsiderata dei sovrani, sia del regno d’Israele che di quello di Giuda. A inasprire le tensioni sociali contribuirono inoltre le vicende politiche del periodo, dato che, dopo un’epoca di coesistenza tranquilla tra i regni della SiriaPalestina nella prima metà del sec. VIII, a partire dal 740 a.C. l’impero assiro cominciò a far sentire la sua pressione sull’occidente che culminò nell’annessione del regno del Nord (Israele) e nella riduzione del regno di Giuda a Stato vassallo.

IL POPOLO RITROVERÀ PACE E LIBERTÀ

Fin dalle prime pagine del libro, accanto a oracoli di denuncia, ricorrono, quasi come una parentesi di sosta per il lettore, oracoli che aprono alla speranza.

In Is 2,1-5 è esposto dapprima un movimento ascendente verso il monte del tempio a cui accorrono le nazioni (v. 2). Lo scopo del movimento è ricevere un’istruzione in vista di un cammino nuovo da intraprendere (v. 3a). Si descrive poi un’uscita: da Sion uscirà la Torah / la parola di YHWH (vv. 3b-4) che è presentata come parola di giudizio in vista di un nuovo ordine mondiale. Da questo insegnamento scaturirà infatti un nuovo tipo di attività: gli umani non fabbricheranno più strumenti di guerra, ma strumenti di pace.

In Is 8,23b-9,6 si incontra invece un oracolo che contrasta una situazione tenebrosa (il popolo camminava nelle tenebre) a una luminosa (vide una grande luce). Al vertice dell’oracolo sta l’apparizione del re bambino che inaugura una nuova situazione nella quale l’oppressione nemica (le tenebre) sarà superata e il popolo potrà ritrovare pace e libertà: questo farà lo zelo del Signore degli eserciti (9,6); un presente tenebroso, ma che nello stesso tempo già propone i segni del futuro: il giogo spezzato, le armature bruciate, un re intronizzato.

La pagina di Is 11,1-9 offre poi al lettore una sosta pacificante. Il passo nel contesto attuale segue immediatamente il c. 10 (che parla dell’invasione assira), proseguendo l’immagine vegetale di 10,33-34 (gli alberi della selva abbattuti). L’accento cade sulla vita nuova che germoglia dalla casa mutilata di David (un germoglio spunterà dal tronco di Iesse), dove l’attenzione di Isaia si concentra sull’ideale della regalità, incarnato in David, così come è espresso anche altrove nella Bibbia (cfr. Sal 72) e sul quale insiste in particolare la prima parte del suo libro.

IMITANDO LA CONDOTTA DI DIO

In contrasto con la condotta ingiusta d’Israele che ha oppresso i poveri (cfr. Is 1,17.23; 2,9-15; 5,1-24), il “germoglio” presterà particolare attenzione ai miseri e agli oppressi (giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli umili della terra. Percuoterà il violento con la verga della sua bocca, con il soffio delle sue labbra ucciderà l’empio, vv. 3b-4a), imitando la condotta di Dio, che è imparziale nel giudizio e sollecito a soccorrere i bisognosi.

Con tale modo di agire egli purificherà il paese da tutto ciò che lo allontana da Dio: non si tratta di un intervento violento nei confronti di invasori stranieri o di oppressori interni, ma di un esercizio della giustizia basato sulla parola, la quale sarà appunto l’arma con cui ogni prevaricazione sarà debellata. Sul re si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e d’intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore (11,2).

Il profeta aspira a un governante attraverso il quale si attui la giustizia, cioè l’ordinamento sociale e politico che corrisponde al volere divino.

PONENDO L’ACCENTO SULLA RICONCILIAZIONE

Si annuncia infatti una società in cui deve risaltare una realtà riconciliata, nella quale chi è al vertice e chi è all’ultimo posto della gerarchia sociale vedono i propri diritti riconosciuti e in cui anche la relazione con l’ambiente naturale diventa manifestazione della pace ristabilita.

Questo aspetto trova singolare espressione nei vv. 6-9 nei quali si prospetta un mondo pacificato, con un’efficace strutturazione: coppie di animali (lupo e agnello, leopardo e capretto, vitello e leoncello), di cui uno domestico e uno selvatico, disposte in due terne, entrambe concluse da un riferimento all’essere umano, rappresentato come bambino (vv. 6-8); infine la cessazione di ogni oppressione nel paese (v. 9: Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno in tutto il mio santo monte), a indicare che la situazione negativa denunciata dal profeta è ora superata. Si presenta una situazione in cui ogni conflitto è superato non tramite l’eliminazione dei violenti (le fiere), bensì ponendo l’accento sulla riconciliazione. Nel regno inaugurato dall’intervento dello spirito divino, il debole e l’innocente convivranno con il crudele e il violento, cioè le paure associate all’insicurezza, al pericolo e alla malvagità saranno rimosse, non solo per le persone, ma anche per il cosmo.

Come in Gen 1,29-30 l’umanità e le fiere sono vegetariani – escludendo in tal modo il dinamismo della violenza, insito necessariamente in una alimentazione centrata sulla carne – allo stesso modo, in Is 11,7 il leone si ciba di paglia come il bue, mostrando che la nuova condizione presenta tratti simili a quella delle origini. In Gen 1,26.28 all’umanità è assegnato il compito di guidare/dominare il regno animale: anche qui la guida degli animali è assegnata all’essere umano, ma nella condizione del bambino (v. 6d), per sottolineare che tale dominio non ha tratti violenti o oppressivi. Questi rimandi non esprimono solo la nostalgia di un’armonia irrimediabilmente perduta. In quanto promessa divina, l’oracolo evita di rinchiudere la prospettiva profetica entro le strettezze della pianificazione o della sublimazione, per fondare una vita conforme alla creazione.

Così, se fanciullo e serpente convivono in tale nuova situazione – mostrando il superamento di quella inimicizia perenne annunciata in Gen 3,15 – il messaggio è la fine della violenza e dell’oppressione, non tramite l’annientamento dei malvagi e dei violenti, bensì nella loro trasformazione in compagni di gioco: ciò che va superato ed eliminato non è dunque il nemico, bensì l’inimicizia. Invertendo le norme abituali, qui non è il forte a proteggere il debole e a offrirgli un rifugio, è il forte (il lupo) che “soggiorna” con il debole (l’agnello, v. 6); ora il forte e il violento si associano al debole, soggiornano presso di lui.

RIMETTENDO AL CENTRO LA GIUSTIZIA

Si chiarisce dunque che il nostro passo non sta annunciando un condottiero che spazzi via i nemici storici del popolo di Dio, ma un re la cui opera di giustizia instaura la pace tra gli esseri umani e tra questi e il cosmo. Punto di partenza dell’annuncio profetico è l’esperienza di una società minacciata dall’ingiustizia e dallo sfruttamento diffusi al suo interno (cfr. 5,1-24), ma anche dalla minaccia esterna da parte di un nemico con mire imperialistiche (cfr. 10,4-34).

Di fronte a tutto ciò la proclamazione profetica non si pone solo come denuncia o come minaccia; essa intende invece mostrare il dinamismo che Dio sta imprimendo alla storia, affinché colui che lo riconosce come Signore possa partecipare alla costruzione del futuro. In tale annuncio anche la riconciliazione con la natura non è tanto un sogno (utopia), ma un dinamismo, poiché la relazione umanità-creato rappresenta l’ambito in cui l’essere umano attua la relazione con Dio: il compito originario degli umani è infatti “guidare” gli esseri viventi.

Collegate ai racconti delle origini, le immagini che costellano il passo, oltre sottolineare la potenza di Dio nel rinnovare la creazione, mettono pure l’accento sulla responsabilità di ciascuno nella costruzione di un mondo pacificato:

la rinuncia allo sfruttamento e alla violenza, mettendo al centro la ricerca della giustizia. Questa è la conoscenza di Dio annunciata dal profeta (vv. 2.9).



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