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IL VALORE AGGIUNTO DELLA FIDEI DONUM

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Il 21 aprile 1957, giorno di Pasqua, veniva pubblicata l'enciclica Fidei donum che attirava l'attenzione della Chiesa cattolica sulle missioni, specialmente in Africa. Allora la situazione geopolitica mondiale registrava profondi cambiamenti. Nel 1947 l'India diventava indipendente e nel 1949 la Cina continentale si dimenava nel comunismo di Mao. Il 1° novembre del 1954 cominciava la guerra d'Algeria e l'anno seguente 29 Paesi di Africa e Asia tenevano la conferenza di Bandung che condannava il colonialismo e l'imperialismo.

A Roma, il lungo pontificato di Pio XII era sul punto di terminare (1939-1958). Lo stato di salute dell'anziano pontefice non gli permetteva di controllare tutto, ma era cosciente del rapido avanzare del comunismo. Col libro "Des prêtres noires s'interrogent", un gruppo di preti africani esprimeva il desiderio di conservare la loro identità all'interno della fede cristiana. Si dice che sia stato mons. Pietro Sigismondi, segretario della Congregazione di Propaganda Fide, l'artefice principale dell'enciclica. Sigismondi era stato delegato apostolico a Leopoldville (ora Kinshasa) nel Congo e aveva potuto constatare i segni precursori di una nuova  società e la crescita straordinaria del numero dei cristiani.

L'enciclica chiedeva uno slancio missionario in Africa con accenti nuovi: insistenza sull'accompagnamento pastorale degli studenti africani nei nostri Paesi, invio temporaneo di preti diocesani in Africa per alcuni compiti specializzati come azione sociale, stampa, ecc. Si trattava del ministero di preti a tempo limitato, e da allora l'espressione prete fidei donum ha designato un prete diocesano messo al servizio di una diocesi diversa dalla sua. Pio XII aveva parlato di cattolicità come "uno scambio di vita e di energia fra tutti i membri del Corpo mistico di Cristo sulla terra" (Natale 1945). L'enciclica puntava all'Africa. L'America latina era già stata l'oggetto di un simile appello nel 1953.

A cinquant'anni da quella data una rapida verifica è doverosa.

Nel passato la missione era stata pensata e portata avanti da religiosi. Il documento pontificio spinge a una nuova concezione della missione che è compito di tutti e i preti fidei donum sono invitati a fondare la loro spiritualità con uno spirito diocesano centrato sulla missione della Chiesa particolare. Come preti fidei donum avevano un ruolo da giocare con la fraternità presbiterale locale (gli "abbés" erano ancora pochi e si sentivano inferiori ai missionari fondatori, i "pères"), spiritualità fondata sul servizio pastorale e scambio arricchente reciproco, come un ponte, fra Chiese antiche e giovani.  Inoltre si intravede la fine del "feudalismo territoriale" degli istituti missionari. La collegialità episcopale viene applicata alla missione e sono i vescovi che invitano gli istituti missionari a lavorare con la Chiesa locale e li sostengono.

Si nota anche un forte impulso da parte delle congregazioni religiose e associazioni, soprattutto femminili, verso l'Africa. Dalla Francia, dal Belgio, dall'Italia e dagli Usa sono numerose a partire. Uno dei frutti più interessanti dell'enciclica è la risonanza che ha avuto nella vita monastica. Le cifre delle fondazioni dei soli monasteri benedettini francesi in Africa sono elevate: 50 dal 1960 al 1980, che nel 1996 diventano 93. L'amicizia e le relazioni si moltiplicano con una fecondità di interessi e programmi.

In realtà l'impatto dell'enciclica sugli istituti religiosi è stato talmente forte che un responsabile di attività missionaria, già nel 1987, commentava: "Ci siamo sbagliati di strategia. Invece di spingere il clero diocesano, avremmo dovuto appoggiarci di più sugli istituti religiosi". Nel frattempo, i fidei donum italiani sono scesi da circa 1.500 a 500. Intanto "lo scambio di vita e di energia" è avvenuto. E, dopo cinquant'anni, è chiaro un nuovo donumAfricae donum all'Europa, sono infatti circa 1.500 i preti africani che lavorano nelle parrocchie italiane.



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