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Ripensare la Chiesa nel tempo del pluralismo e del cristianesimo globale

Dialogo-Finito_Libro.jpgDopo “Vocabolario minimo del dialogo interreligioso” ed “Educare al pluralismo religioso. Bradford chiama Italia” (quest’ultimo più concentrato sull’aspetto pedagogico-didattico), Brunetto Salvarani torna a riflettere sul “dialogo” – esplicitamente interculturale, ecumenico e interreligioso, ma in fondo come aspetto caratterizzante l’umano (e per chi si dice cristiano, il divino!) – per riaffermarne il valore davanti al fatto che “mai come negli ultimi anni [esso] è stato messo in discussione… Scambiato di volta in volta per puro buonismo o per banale sincretismo, schernito come imbelle irenismo, o semplicemente equivocato per relativismo assoluto, il dialogo viene oggi visto sovente tutt’al più come un argomento comodo per fasciarsi il cuore a uso di anime belle e scarsamente combattive di fronte a quell’irruzione dell’altro […] che appare senza dubbio la cifra dominante di questi tempi affannati non meno che complicati”.

Servendosi del metodo “vedere-giudicare-agire”, il direttore di CEM Mondialità parte cercando di spiegare il perché di questa “crisi del dialogo”.

Attingendo ad autori come Zygmunt Bauman e Philip Jenkins, ne rintraccia le cause, in generale, in una condizione umana odierna (almeno in Occidente) segnata dalla fragilità, dall’instabilità, dall’incapacità “di tessere rapporti sociali non funzionali o puramente utilitaristici, portata a vedere l’altro solo nella chiave hobbesiana dell’homo homini lupus”, perché disorientata dalla globalizzazione, e sul piano religioso, nei fondamentalismi e nei ripiegamenti identitari con cui le fedi paiono reagire a un mondo fattosi piccolo, che mette in contatto e mescola culti e fedeli diversi, alla soggettivizzazione delle credenze col conseguente indebolimento delle istituzioni, alla coesistenza di spinte secolarizzatrici e domande di trascendenza.

Per illuminare questi scenari, l’autore ripercorre prima di tutto le più recenti riflessioni sulla teologia delle religioni, in particolare la sintesi che ne offre Paul Knitter, la proposta ermeneutica di Andrés Torres Queiruga e il contributo originale di Michael Amaladoss, alla ricerca di un orientamento che non neghi lo “specifico cristiano”, cioè l’idea per cui la salvezza passa inevitabilmente attraverso Gesù Cristo, ma non riduca le altre religioni a copie più o meno malriuscite o meri “esperimenti preparatori” del cristianesimo.

In secondo luogo l’autore approfondisce l’affermarsi di un “cristianesimo globale”, cioè sempre più diffuso nel pianeta e in forte crescita numerica, soprattutto nel Sud del mondo, ma allo stesso tempo sempre più articolato al proprio interno, col prepotente emergere di movimenti e Chiese estranee alle tradizionali famiglie confessionali.

Quindi chiama in causa la riflessione missiologica per indicare gli assi su cui “ripensare la Chiesa”, come ricordato nel sottotitolo del volume: “Da una parte, l’obiettivo di un’estensione globale della solidarietà, di una pratica di giustizia, di pace e di salvaguardia del creato su scala planetaria; dall’altra, l’esigenza di un nuovo stile di cattolicità ecumenica, capace di affrontare una dialettica tra località e universalità, e di porsi al servizio di un mondo riconosciuto come casa della vita, nella ricerca dialogica di un’etica condivisa”.

Salvarani coglie con lucidità come sul trittico “pace-giustizia-salvaguardia del creato” e sull’elaborazione di un “cristianesimo della differenza” (etniche, culturali, di genere, ecc.) si giochi l’evitare “la sostanziale, progressiva insensatezza dell’annuncio evangelico”.

Ma lascia ad altri il compito di affrontare i nodi di fondo che tale prospettiva inevitabilmente evoca: il modo di comprendere la Verità e tradurla in discorso (v. Dei Verbum 8), l’assunzione della propria identità cristiana non solo in termini “evolutivi”, ma come parzialità, la relazione tra Chiesa universale e Chiesa locale, in particolare alla luce dell’inculturazione, una riconfigurazione delle strutture ecclesiali pienamente coerente con l’idea di “popolo di Dio”, un’idea di laicità e rapporti con le istituzioni civili scevra da confessionalismi, ecc.



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