Skip to main content

Grandi Laghi: non possiamo continuare a chiudere gli occhi

Condividi su

Se la metà degli aiuti di questi anni fossero stati impegnati per prevenire le guerre, mobilitando veri esperti, africani e non, per disinnescare i conflitti, la pace non sarebbe lontana. Ma ciò che non si è fatto fino a ieri può essere fatto a partire da oggi.

La pace è ancora lontana dalla regione dei Grandi Laghi, lo confermano i recenti massacri del Rwanda e del Burundi, e la guerriglia che continua nel Kivu.  Dopo tutte le tragedie di questi anni, lo scenario politico non sembra molto cambiato se non per la netta affermazione dell’egemonia americana nella regione.

Dopo i contratti di miliardi di dollari per lo sfruttamento dei giacimenti di rame e cobalto nella provincia dello Shaba, firmati da Kabila e dall’American Mineral Fields e le trattative per le miniere di oro e di diamanti con Anglo American Corporation e De Beers, non restano molti dubbi sulla vera matrice del mancato soccorso umanitario, sul grande esodo costato centinaia di migliaia di vittime e sui massacri. Al Congresso americano, anche in seguito alle rivelazioni del Pentagono, è stata denunciata l’assistenza militare degli Usa alle truppe dell’Alleanza, con mezzi sofisticati di informazione, materiale bellico e mezzi di trasporto. Paul Kagame in varie occasioni (vedi intervista al Washington Post) ha dichiarato che le sue truppe hanno partecipato e diretto i combattimenti che miravano a eliminare la resistenza hutu e hanno determinato la caduta del regime di Mobutu.

La signora Albright ha da poco concluso la visita a Kigali e Kinshasa: ha lasciato cinque milioni di dollari agli uni e agli altri, dicendo che restano ancora molti passi da fare sul rispetto dei diritti umani.  Un’ammissione piuttosto vaga  in un contesto in cui il potere non ha alcuna base popolare ed  è in atto una violenta guerriglia.  L’aiuto non può che trasformarsi in armi.

La comunità internazionale  non può sottrarsi al dovere di una giusta ingerenza umanitaria, legando gli aiuti al diritto di monitoraggio e di informazione, e con una presenza di propri inviati nei paesi in questione.

Perché l’Italia non si fa promotrice di una proposta positiva per disinnescare i conflitti e creare condizioni di dialogo? 

Una pressione sul nostro governo e sull’ambasciata degli Usa potrebbe aiutare a rivedere la cooperazione, perché sia impostata a criteri di pace, a valorizzare i leaders della società civile che credono nel dialogo, a stabilire relazioni con le nuove autorità del paese impegnandole a costruire uno stato di diritto, e perché essa possa esercitare un ruolo di mediazione tra le parti.



Per scaricare la rivista accedi con le tue credenziali d'accesso o abbonati.

Logo saveriani
Sito in costruzione

Portale Unico dei Saveriani in Italia

Stiamo finalizando la nuova versione del portale

Saremmo online questa estate!

Ti aspettiamo...

Versione precedente del sito