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DAL GIUBILEO DI ROMA AL CONVEGNO ECCLESIALE DI VERONA

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È stato un decennio di grande impegno sul fronte ecclesiale. Col giubileo abbiamo respirato aria missionaria e universale, a Roma e dintorni. Abbiamo ammirato la guida di Giovanni Paolo II su tanti versanti, con i giovani, col Parlamento italiano chiedendo l'amnistia per i detenuti, col mondo intero portando all'attenzione di tutti il problema del debito estero e implorandone il condono. Abbiamo apprezzato il coraggio dell'ammissione degli errori. Umilmente il papa ha chiesto perdono a nome di tutti noi. E sentiamo ancora il suo invito pressante: “Aprite le porte a Cristo”.

Dalla Chiesa italiana riunita a Verona ci aspettiamo una professione di fede.

Non quella del simbolo apostolico… non abbiamo difficoltà con questa. Una professione di fede in Dio pazzo d'amore per tutti, islamici, buddisti e cristiani. Una Chiesa serva del Regno di Dio presente in mezzo a noi - che gli uomini e donne di fede ce lo indichino!- , certamente presente nella Calabria della ‘ndragheta e nella Lombardia commerciale, così come nella Roma della politica e nella Bologna del benessere. Professione di fede in un Dio che si nasconde a Nazaret e con gli emigrati sotto i ponti di Firenze o con i drogati nelle periferie di Torino. Ci aspettiamo una professione di fede nel Dio della misericordia che non ha paura dei marciapiedi notturni e che prende rischi con i disoccupati e i divorziati.

Sì, una professione di fede che impegna e che sia esigente col nostro stile di vita e i nostri conti in banca.

Che il convegno di Verona ci chieda allora qualcosa da fare, un impegno verificabile nelle comunità locali, non ci chieda di leggere un documento e non ci chieda un consenso a una strategia pastorale di cui non è convinto. Che il convegno di Verona ci tratti da adulti, tutti i credenti, uomini e donne, con proposte di conversione e di condivisione. Ci offra l'esempio di una Chiesa fiduciosa, senza le nostalgie del nido vuoto, della politica fatta in casa che garantisce le nostre ricchezze e i nostri pregiudizi.

Che venga fuori una Chiesa desiderosa di prendere seriamente la Parola di Dio in tutta la sua potenza, perché è questa che guarisce e dà senso alla nostra vita. Che il convegno di Verona ci offra la possibilità di intervenire nelle liturgie domenicali , portandovi la vita e la fatica di ogni giorno e ricevendo grazia e perdono; ci prometta di confezionare un rito che offra non solo la solennità e la tradizione millenaria della nostra fede, ma che manifesti con gesti e spazi anche la fraternità di una comunità che cerca Dio, lo loda e lo implora settimana dopo settimana.

Infine ci aspettiamo da Verona che la chiesa si impegni nell'accoglienza di tutti, poveri e ricchi, disperati e fiduciosi, vicini e lontani, pagando anche di persona e sentendo la gioia del donare con gratuità, senza riscontri e ricompensi.

 Che la mano della solidarietà della Chiesa italiana raggiunga anche i rifugiati del Darfur e i bambini del Niger, portandovi attenzione e incoraggiamento; che la Chiesa si metta in dialogo con tutti, fondamentalisti e tradizionalisti, non credenti e laici impegnati. Il giudizio appartiene a Dio, a noi il grande rischio di credere nella mitezza e nella pace, nella nonviolenza e nella riconciliazione, nel chicco di grano che cresce assieme alla zizzania, anche a nostra insaputa.

A noi il compito di seminare sempre, seminare fiducia e non paura… così ci ha insegnato il Maestro.



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