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CHIESA POPOLO DI DIO / DALL’ESPERIENZA BRASILIANA A PAPA FRANCESCO

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Il libro di Paolo Cugini, per 15 anni prete fidei donum in Brasile, traccia un “filo rosso” tra l’esperienza delle Comunità ecclesiali di base (Ceb) brasiliane e la proposta di papa Francesco, individuando l’anello di congiunzione tra questi due termini nell’idea di Chiesa come “popolo di Dio”, riscoperta dal Vaticano II.

Il volume risulta particolarmente efficace nel presentare, con un aggiornamento tutt’altro che scontato nel nostro paese, i nodi problematici con cui le Ceb si trovano a misurarsi, riconducibili ai loro rapporti con la politica, con la parrocchia (che devono contribuire a rinnovare secondo il modello della “comunità di comunità” o da cui devono restare autonome?) e coi movimenti ecclesiali, in particolare il Rinnovamento nello Spirito

Molto pertinente è poi il richiamo al sacerdozio comune, fondato sul battesimo, come “un punto nodale per comprendere il significato della Chiesa come popolo di Dio” insieme al sensus fidei che ne costituisce la manifestazione. Tale evocazione risulta ancor più opportuna perché tanto l’esercizio del sacerdozio comune quanto il rilievo magisteriale del sensus fidei appaiono tuttora, a più di cinquant’anni dalla chiusura del Vaticano II, privi di traduzioni pratiche. 

Cugini mostra con grande sistematicità e acribia – smentendo i detrattori della “profondità teologica” di Francesco – l’organicità e la coerenza interna della riflessione di Bergoglio, in cui la categoria “popolo di Dio” ha una centralità le cui ricadute investono tutti gli ambiti teologici, dall’ecclesiologia alla morale. 

Non mancano nel volume passaggi che meriterebbero ulteriore discussione, per esempio là dove Cugini coglie giustamente la problematicità della relazione tra Ceb e Partito dei lavoratori (Pt), ma poi vi applica un po’ semplicisticamente lo schema elaborato nel 1949 da Emmanuel Mounier a proposito del rapporto tra cristianesimo e Partito comunista, trascurando non solo la diversità di luogo e tempo, ma soprattutto il fatto che l’intellettuale francese si trovava di fronte a due “universi” (la Chiesa cattolica e i partiti comunisti terzinternazionalisti) sostanzialmente estranei e in buona misura contrapposti l’uno all’altro, mentre nel gigante sudamericano le Ceb, o più ampiamente il “cristianesimo della liberazione”, non guardano ai partiti comunisti pur esistenti, ma partecipano fin dall’inizio alla formazione di un partito nuovo, di sinistra, ma ideologicamente pluralista. 

Così pure Cugini pone giusta enfasi sullo slittamento dall’ecclesiologia del “popolo di Dio” alla “ecclesiologia di comunione”, compiutosi nel Sinodo del 1985, e del ruolo che in questo ha la vicenda ecclesiale dell’America latina, giugendo a definire “fondamentale per comprendere l’oscuramento” della prima “la produzione di [Leonardo] Boff” (o meglio la reazione dell’autorità romana a essa, in particolare al volume Chiesa, carisma e potere). Tuttavia l’eclissi della visione della Chiesa come popolo di Dio comincia già nel primo decennio postconciliare, quando al centro del dibattito ecclesiale c’è ancora l’Europa, attraversata dal ’68 (che a Tubinga traumatizzerà, per sua stessa ammissione, il giovane Joseph Ratzinger) e dall’antiautoritarismo, dal Concilio pastorale della Chiesa olandese e dai Sinodi di Austria, Germania e Svizzera, dalla contestazione all’Humanae vitae, dalla domanda di “democrazia nella Chiesa” e dal dissenso cattolico, con gli striscioni “la Chiesa è del popolo” affissi sui templi per contestare la rimozione di parroci progressisti.

In terzo luogo è corretto, come fa Cugini, sottolineare il legame di Bergoglio con la “teologia del popolo” argentina. Con l’attenzione però a non sopravvalutare il peso di questa riflessione teologica, oggi sotto i riflettori grazie all’ascesa dell’arcivescovo di Buenos Aires al soglio di Pietro, ma con un’influenza modesta dopo gli anni ‘70 e sempre circoscritta a un solo paese, della cui cultura (anche politica) era espressione tipica, e a non ignorarne i limiti, molti dei quali rimandano proprio alla nozione di “popolo”.  Non è un caso che questa riflessione teologica si sviluppi in un paese segnato in profondità dal mito della "nazione cattolica", secondo cui il nucleo dell'identità argentina consisteva nell'adesione al cattolicesimo, al quale sarebbe sempre stato fedele il "popolo" (con la sua religiosità, i suoi valori e i suoi simboli), contrapposto alle elite portatrici delle ideologie moderne (liberalismo, positivismo, marxismo ecc.) provenienti da un'Europa lacerata dallo scisma protestante.



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