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Aggeo e Isaia 3, Missione come ricostruzione

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Tra le esperienze traumatiche che hanno segnato la storia del popolo ebraico si annovera quella dell’esilio babilonese; in realtà non è l’unica né l’ultima dello stesso tipo, ma certamente è quella che ha segnato gran parte delle composizioni presenti nella prima parte della Bibbia. A questa dedicano largo spazio i cosiddetti libri storici, in particolare i Libri dei Re e quelli di Esdra e Neemia, ma già il libro del Deuteronomio nella sua parte conclusiva dedica alcune note toccanti, presentando l’esilio come esito della condotta irresponsabile del popolo e dei suoi dirigenti in rapporto alle esigenze dell’alleanza con il Signore. Se poi si passa ai libri profetici, si coglie con evidenza che numerosi oracoli mettono a tema l’esperienza dell’esilio sia per giustificare la condotta divina che ha permesso tale sciagura sia per indicare che essa non ha segnato la fine del rapporto con il Dio che si è rivelato al Sinai; l’esito di tale dramma ha dato, infatti, occasione al Signore di manifestare la sua fedeltà a un popolo purificato dalla prova e disposto finalmente a intraprendere il compito di edificare una comunità fondata sulla giustizia e sulla solidarietà.

RICOSTRUIRE IL TEMPIO

Fermiamo la nostra attenzione al momento della ricostruzione, per comprendere quali dibattiti animavano la società ebraica del periodo, ma soprattutto per lasciarci aiutare dai profeti a valutare su quali basi è stato possibile guardare con fiducia al futuro alla luce della fede nel Dio dell’alleanza. Due profeti in particolare sono illuminanti, Aggeo e l’anonimo profeta che prende la parola nei capitoli conclusivi del libro di Isaia (da molti chiamato Terzo Isaia).

Aggeo fu attivo all’inizio del regno del re persiano Dario I (522- 486 a.C.), quindi nella prima fase del rientro degli esuli in patria. Gli oracoli a lui attribuiti occupano solo due capitoli e si focalizzano su un singolo tema, la ricostruzione del tempio di Gerusalemme, che egli sollecita. In particolare, Aggeo esorta il governatore Zorobabele a mettere mano alla ricostruzione. Dalle sue parole possiamo cogliere quali attese egli suscitò nella popolazione al fine di indurla a compiere tale impresa.

Così parla il Signore degli eserciti: Questo popolo dice: “Non è ancora venuto il tempo di ricostruire la casa del Signore!”. Allora fu rivolta per mezzo del profeta Aggeo questa parola del Signore: “Vi sembra questo il tempo di abitare tranquilli nelle vostre case ben coperte, mentre questa casa è ancora in rovina? Ora, così dice il Signore degli eserciti: Riflettete bene sul vostro comportamento! Avete seminato molto, ma avete raccolto poco; avete mangiato, ma non da togliervi la fame; avete bevuto, ma non fino a inebriarvi; vi siete vestiti, ma non vi siete riscaldati; l’operaio ha avuto il salario, ma per metterlo in un sacchetto forato. Così dice il Signore degli eserciti: Riflettete bene sul vostro comportamento! Salite sul monte, portate legname, ricostruite la mia casa. In essa mi compiacerò e manifesterò la mia gloria – dice il Signore. Facevate assegnamento sul molto e venne il poco: ciò che portavate in casa io lo disperdevo. E perché? – oracolo del Signore degli eserciti. Perché la mia casa è in rovina, mentre ognuno di voi si dà premura per la propria casa. Perciò su di voi i cieli hanno trattenuto la rugiada e anche la terra ha diminuito il suo prodotto. Ho chiamato la siccità sulla terra e sui monti, sul grano e sul vino nuovo, sull’olio e su quanto la terra produce, sugli uomini e sugli animali, su ogni lavoro delle mani” (Ag 1,2-11).

NON RIDURRE DIO A UN ANTICO DESPOTA

Per il profeta vi è uno stretto legame tra esito favorevole dello sforzo umano e costruzione del luogo di culto: esso rappresenterebbe dunque la garanzia che Dio offre la sua benedizione alla popolazione. Si tratta di un pensiero che Israele condivide con tanti altri popoli e che non abbandona mai le tradizioni religiose: le divinità vanno placate e onorate con gli atti di culto al fine di garantirsi una vita serena e tranquilla. Un’idea non del tutto sbagliata, ma che uno sguardo attento rivela insufficiente e soprattutto riduce Dio a livello di ogni despota antico, il quale esige un tributo che esprima la sottomissione al suo dominio. Appunto in aperta critica a tali concezioni si muovono i primi capitoli di Isaia (cc. 1-5), ma pure Ger 7.

È però un profeta quasi contemporaneo di Aggeo a prendere apertamente la parola contro tali pretese, probabilmente poco tempo dopo la ricostruzione del tempio.

Così dice il Signore: “Il cielo è il mio trono, la terra lo sgabello dei miei piedi. Quale casa mi potreste costruire? In quale luogo potrei fissare la dimora? Tutte queste cose ha fatto la mia mano ed esse sono mie – oracolo del Signore. Su chi volgerò lo sguardo? Sull’umile e su chi ha lo spirito contrito e su chi trema alla mia parola. Uno sacrifica un giovenco e poi uccide un uomo, uno immola una pecora e poi strozza un cane, uno presenta un’offerta e poi sangue di porco, uno brucia incenso e poi venera l’iniquità. Costoro hanno scelto le loro vie, essi si dilettano dei loro abomini (Is 66,1-3).

IL TEMPIO DA SOLO NON BASTA

L’oracolo chiude tutta una serie di rimproveri con i quali il profeta mostra alla popolazione di Gerusalemme che non basta confidare nel tempio recentemente edificato per godere una situazione tranquilla: solo una società in cui i rapporti sono regolati da giustizia ed equità può attendersi un futuro di prosperità. Ecco come sporge la sua denuncia.

Così dice il Signore:Osservate il diritto e praticate la giustizia, perché la mia salvezza sta per venire, la mia giustizia sta per rivelarsi” (Is 56,1). Mi cercano ogni giorno, bramano di conoscere le mie vie, come un popolo che pratichi la giustizia e non abbia abbandonato il diritto del suo Dio; mi chiedono giudizi giusti, bramano la vicinanza di Dio: “Perché digiunare, se tu non lo vedi, mortificarci, se tu non lo sai?”. Ecco, nel giorno del vostro digiuno curate i vostri affari, angariate tutti i vostri operai. Ecco, voi digiunate fra litigi e alterchi e colpendo con pugni iniqui. Non digiunate più come fate oggi, così da fare udire in alto il vostro chiasso. Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti? (Is 58,2-4.6-7).

TESTIMONIARE IL MODO DI AGIRE DI DIO

Risulta evidente dalle affermazioni di Isaia come il problema non sia il culto in sé, né il luogo di culto in quanto tale, ma il senso di una relazione: il rapporto con Dio non si fonda su una serie di prestazioni umane che garantirebbero pace e benessere; in realtà neppure la pratica della giustizia è in definitiva una garanzia: come mostrano diverse pagine bibliche (si veda Is 53 il servo sofferente, il libro di Giobbe, ma anche la vicenda di Gesù)

la fedeltà a Dio non garantisce il successo nella vita, essa è invece testimonianza della natura stessa del Dio che si è accolto.

È Lui, infatti, che opera la giustizia, che ha cura del debole e del misero, che scioglie le catene dell’oppresso; appunto perché Lui è così, non è possibile rendergli testimonianza se non modellando la propria esistenza sul suo modo di agire. E tale è anche l’annuncio cristiano: non l’appello a costruire luoghi di culto alternativi o concorrenti (si veda il dialogo tra Gesù e la donna samaritana in Gv 4), ma a testimoniare al mondo quell’immagine perfetta di Dio che è il suo Figlio, venuto nel mondo “non per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10,45).



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