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POMERIGGIO DEL CRISTIANESIMO / IL CORAGGIO DI CAMBIARE

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RECENSIONE DEL LIBRO DI TOMÁŠ HALÍK

Ho letto con crescente interesse – anche se non è certo una lettura amena – il libro di Tomáš Halík Pomeriggio del cristianesimo. Il coraggio di cambiare (Vita e Pensiero 2022, pp. 275), che il mio vescovo (di Como) mi ha regalato per Natale. È un libro interessante che, come dice il sottotitolo, ha come argomento l’attuale situazione della Chiesa, tema che è oggi quasi alla moda. Sono molti gli articoli che si pongono la domanda quale sarà il futuro della Chiesa. Halík si propone di mostrare che i cambiamenti che sono avvenuti e che stanno avvenendo sono passaggi storici ineludibili, perché iscritti nella storia. Non ha quindi senso spaventarsi e cercare di ritornare frettolosamente al passato. Halík invita la Chiesa a ripercorrere la sua storia e a leggere negli avvenimenti in corso le indicazioni per il futuro impegno pastorale con un invito alla speranza: la Chiesa non è alla fine e la riforma a cui è chiamata da papa Francesco, è la strada del suo futuro! 

Halík, teologo, ma anche sociologo e psicologo originario della Repubblica Ceca, che oggi lavora prevalentemente nel mondo anglosassone, propone una particolare maniera di interpretare la storia, la cairologia. Il nuovo termine – che viene da kairós ­– indica “l’esperienza ermeneutica teologica della fede nella storia” (p. 35), che richiama “la lettura dei segni dei tempi” diventata prassi comune con il Concilio. Partendo dalla constatazione che la nostra non è un’epoca di cambiamenti, ma un “cambiamento di epoca” (come afferma Francesco), Halík si propone di leggere nei cambiamenti attualmente in atto nella vita della Chiesa la traccia dello sviluppo futuro e i nuovi impegni della missione. I cambiamenti attuali fanno paura: le chiese che si stanno svuotando, la pratica dei sacramenti che sembra spegnersi, i cristiani che abbandonano, la disaffezione dei giovani e lo sgomento degli educatori, le vocazioni ai ministeri ordinati e alla vita consacrata che diventano sempre più rare, la credibilità pubblica della chiesa in ribasso a causa degli abusi e degli scandali sono solo segni di una crisi e insieme di una realtà nuova che in questo travaglio sta prendendo forma nella vita della Chiesa. Questi fenomeni non devono portarci allo scoraggiamento come fossero dei segnali funebri. Nella storia, pur complessa, di oggi ci sono i semi di un futuro che ora possiamo solo immaginare. Sta a noi accorgercene e coltivarli in modo positivo.

Non è mia intenzione – e non ne sarei neppure capace – riassumere qui i molti aspetti, termini e prospettive che Halik affronta nel libro che passa in rassegna le varie forme che la Chiesa ha assunto nel corso dei secoli. Voglio solo raccogliere qui alcune osservazioni e indicazioni concrete emerse dalla lettura per invitare chi vuol comprendere questo nostro tempo a leggere l’intero libro. S’accorgerà che ne vale la pena. Anzitutto devo spendere una parola per spiegare il titolo del libro che sicuramente crea curiosità. Il libro parla del cambiamento della fede e della religione nel corso della storia bimillenaria della Chiesa. Lo fa distinguendo – lo spunto gli viene dalla psicologia di C. Gustav Jung (v. pp. 51-54) – tre tappe nella storia del cristianesimo: la prima che egli chiama il “mattino del cristianesimo” ed è l’era premoderna che corrisponde al tempo della cosiddetta “cristianità”, quando la Chiesa si estendeva a tutto e a tutti; la seconda tappa della storia della Chiesa, che egli chiama il “mezzogiorno”,  è caratterizzata dalla progressiva secolarizzazione, dall’emancipazione cioè delle scienze e della politica dalla religione, in sostanza l’epoca della modernità; la terza tappa è quella che stiamo vivendo che Halík chiama il “pomeriggio del cristianesimo”, una stagione positiva (non si dimentichi che nel linguaggio biblico la festa comincia la sera della vigilia!) in cui il cristianesimo sta prendendo una nuova forma, quella che possiamo vedere e che lascia molti con molti pesanti interrogativi.

Il tempo della cristianità è ormai passato e finito, morto e sepolto, anche se ci sono cristiani, vescovi, sacerdoti e fedeli che vorrebbero risuscitarlo. Alla cristianità succede la modernità, prodotto e frutto dell’illuminismo europeo, tempo di crisi per la Chiesa quando la scienza e la politica si emancipano progressivamente dalla tutela del magistero della Chiesa e gli stati moderni rivendicano la loro autonomia. Halík parla lungamente e dettagliatamente della “crisi del mezzogiorno” nel VI capitolo del libro significativamente intitolato “Buio a mezzogiorno”. In questo periodo la religione e la fede subiscono un processo di secolarizzazione, mentre il magistero della Chiesa si trova spesso in conflitto con i poteri della scienza e della politica. Questa tappa si conclude idealmente con il Concilio Vaticano II che – almeno nelle intenzioni – riapre il dialogo con la scienza e con la politica. A questo punto inizia quello che per certi è una nuova crisi, che è una fase di passaggio e maturazione, nel corso della quale la religione sta cambiando e assume forme nuove mentre, secondo altri, sta smarrendo i suoi principi. Una crisi quindi, ma come ogni crisi comporta due aspetti: pericolo e opportunità. In questa tappa un tipo di religione e di Chiesa sta scomparendo mentre sta maturando una nuova forma o figura di Chiesa che ha ancora le sue radici nella Scrittura e nella tradizione, nella spiritualità e nella missione, anche se essa sta ancora cercando e mettendo a punto giorno dopo giorno i tratti definitivi che si raggiungeranno solo l’ultimo giorno (natura escatologica della Chiesa). 

Halik avanza l’ipotesi che “la fede cristiana ha raggiunto la maturità con la forma attuale di religione e che i tentativi di spingerla indietro verso forme precedenti sono controproducenti… il cristianesimo come religio, incarnato nella forma politico-culturale della Cristianità, rappresenta un passato concluso e suoi scimmiottamenti nostalgici portano solamente a caricature tradizionaliste. In questi tempi in cui cambiano i paradigmi delle civiltà, la fede cristiana cerca una nuova forma, una nuova dimora, nuovi mezzi espressivi, nuovi compiti sociali e culturali e nuovi alleati” (pp. 62-63). Un cammino escatologico che per natura sua non è ancora finito e lo sarà quando “Dio sarà tutto in tutti”, come scrive Paolo (1Cor 15,28).

Il discorso di Halík, che attraversa tutti gli aspetti della religione e della cultura, della fede e della credenza (dottrina), del religioso e non religioso, si fa anche complicato, ma vale la pena di seguire l’autore nelle sue argomentazioni e si scoprirà che non siamo alla fine, ma solo ad una svolta positiva del cristianesimo, in cui si potranno ricuperare – senza inutili e pericolose retromarce, anzi nella loro pienezza – quei valori che altri pensano di aver perduto in questo passaggio d’epoca, sicché la missione della Chiesa si allargherà e s’approfondirà. In questa linea si colloca la riforma che papa Francesco sta faticosamente portando avanti, particolarmente il suo discorso sulla sinodalità, elemento costitutivo della Chiesa che impegna tutti nella missione verso il nostro mondo, una riforma che punta al ricupero dell’autentico volto della Chiesa su una strada che esclude in ritorno indietro, ma offre indicazioni per il futuro della vita della Chiesa e anche del mondo.

Tutti i 18 capitoli del libro sono interessanti, mai solo teorici o campati in aria, anzi spesso deliberatamente provocatori, ma è verso la fine che il libro, quasi a pagare il proprio debito alla pazienza del lettore, offre alcune pagine che non dovrebbero essere lette in fretta tanto per concludere la fatica. Pagine di una chiarezza e prospettiva straordinarie che mi hanno aperto alla speranza e che ti fanno desiderare di essere parte di questo cammino. Effetto di deformazione professionale? Può darsi, visto che in Burundi ho insegnato per anni ecclesiologia (la ecclesiologia del Vaticano II) a degli studenti che ogni volta che entravo in classe mi chiedevo se (e quanto?) avrebbero seguito le mie lezioni di ecclesiologia in francese. Secondo me, i capp. XV (La società della via) e XVI (La società dell’ascolto e della comprensione) sono il punto di arrivo del libro di Halík e una professione di fede in “questa” Chiesa di Gesù Cristo come essa sta emergendo oggi.

Mentre sembra proprio che l’opinione pubblica – in generale – abbia per la Chiesa e la sua forma attuale uno sguardo molto critico e addirittura senza speranza, Halík afferma che «la chiave di tutte le considerazioni sulla Chiesa è il paradosso espresso da Paolo: “Noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta” (2Cor 4,7)». Dopo aver analizzato molti aspetti della crisi contemporanea della Chiesa, Halík individua la “forma nascosta alla quale [la Chiesa] è stata chiamata e che sboccerà in base alla nostra fede alla fine dei tempi: quel tesoro nascosto in fragili, polverosi, scheggiati vasi della stessa creta di cui siamo fatti noi che formiamo la Chiesa” (p. 228). Il fiume della fede è uscito dagli argini del passato e la Chiesa ne ha perso il monopolio; le istituzioni ecclesiastiche non hanno più il potere di controllarlo né disciplinarlo, ma “la Chiesa come società dei credenti, società della memoria, dell’annuncio e della celebrazione, ha tuttavia la missione permanente di servire la fede e questo sia con le sue esperienze storiche, sia con il potere dello Spirito che dimora e agisce anche in vasi di creta” (ibid.).

Tomáš Halík vede nella contemporaneità “quattro concetti ecclesiologici” ai quali “oggi” è possibile e necessario ricollegarsi, come basi su cui sviluppare la Chiesa nel futuro e per il futuro. Essi vanno ulteriormente approfonditi da un punto di vista teologico e immessi nella vita: la Chiesa come popolo di Dio pellegrinante nella storia, la Chiesa come scuola di sapienza, la Chiesa come ospedale da campo, la Chiesa come luogo di incontro e di dialogo per il servizio di accompagnamento spirituale e di riconciliazione.            

1. Anzitutto la Chiesa come “popolo di Dio in cammino nella storia”. È un’acquisizione fondamentale del Vaticano II, che collega la Chiesa di Gesù Cristo al popolo d’Israele e la radica nella storia. La Chiesa è quindi un popolo in movimento, alle prese con i continui cambiamenti imposti dalla storia, un popolo che è essenzialmente escatologico, che sarà pienamente uno, santo, cattolico e apostolico solo alla fine del suo cammino, un popolo nel quale continuamente “si mescoleranno unità e diversità, univocità e discordia, santità e peccato, universalità cattolica e ristrettezza e cattolicismo culturalmente limitato, fedeltà alla tradizione apostolica e un labirinto di eresie e apostasie” (p. 232). La storia non è il cielo, non è Dio e in essa non possiamo evitare la tensione continua tra il “già e non ancora”.  La tradizione ecclesiastica ha distinto tre tipi/situazioni di Chiesa, la ecclesia militans, poenitens e triumphans. Dimenticare le differenze escatologiche tra la chiesa terrena e quella celeste ha prodotto già in passato il trionfalismo e oggi una nuova forma patologica che Papa Francesco non si stanca di denunciare e che chiama con il termine il “clericalismo”.

2. La Chiesa come “scuola di vita e di sapienza”. Nei nostri paesi europei non domina più la religione tradizionale, neppure l’ateismo, ma prevalgono l’agnosticismo, l’apateismo (indifferentismo) e l’analfabetismo religioso. Con essi, benché numericamente meno importanti, ci sono il fanatismo religioso e l’ateismo dogmatico che nella loro arroganza (“noi abbiamo la verità!”) non sentono più il bisogno di cercare il Signore. La fede invece è la via, la via della ricerca, mentre il dogmatismo e il fondamentalismo, sia religioso che ateo, sono dei vicoli ciechi, o forse una prigione. Per questo la Chiesa, la società cristiana è chiamata a diventare una scuola, comunità di vita, di preghiera e di insegnamento (come erano le antiche universitates medioevali dove vigeva il principio contemplata aliis tradere. Come nelle scuole antiche è parte essenziale la disputatio, cioè la ricerca fatta insieme, in cui ci si prefigge di giungere alla verità cercando insieme in liberi dibattiti. Per essere scuole di vita e sapienza, le comunità cristiane dovrebbero diventare quindi luogo in cui si cerca di unire la spiritualità e la teologia, il dialogo e la cura spirituale. Così dovrebbero essere le parrocchie, i conventi, i movimenti. Missione dei fedeli è di riscoprire la presenza di Dio nei movimenti della storia “separando la fede dal convincimento religioso, la speranza dall’ottimismo e la carità dalla semplice emozione. Educare a una fede meditata e matura deve avere un aspetto non solo intellettuale e morale, ma anche terapeutico: una simile fede protegge da malattie infettive quali l’intolleranza, il fondamentalismo e il fanatismo” (p. 234).

3. Papa Francesco ama usare l’immagine di Chiesa “ospedale da campo”, immagine che ci deve accompagnare e ispirare in questo “pomeriggio del cristianesimo”. La Chiesa deve uscire definitivamente dallo splendido isolamento che l’ha caratterizzata nel tempo della cristianità e che tende a perpetuare anche oggi. Deve entrare nel mondo e farsi trovare nei posti in cui ci sono persone ferite fisicamente, socialmente, psicologicamente e spiritualmente per curarne le ferite. Ci sono ferite individuali e collettive da curare non solo con le norme della morale, ma con il potenziale terapeutico della fede, con il vangelo della misericordia, con la prossimità e la consolazione. Per diagnosticare le malattie la Chiesa si servirà della cairologia, l’ermeneutica teologica dei fatti della storia e della società. Oltre a fare la diagnosi delle malattie del mondo, la Chiesa deve cercare di prevenirle quanto possibile curando e sanando il terreno della società, della famiglia, della scuola, del lavoro, occupandosi della dignità della persona umana, della giustizia, della pace. Compito della Chiesa oggi è impegnarsi nell’ecologia integrale e nella promozione della fraternità e amicizia sociale (cfr. Fratelli tutti). 

4. Il quarto modello di Chiesa è connesso con la scuola e l’ospedale da campo. Le strutture attuali non bastano. La Chiesa dovrà moltiplicare i centri spirituali, luoghi di adorazione e contemplazione, ma anche di “incontro” e “dialogo”, dove sia possibile a tutti cercatori di Dio e della verità (sia religiosi che non religiosi, sia cristiani che non cristiani) di condividere la loro esperienza spirituale. Oggi molti sono preoccupati del progressivo sfilacciarsi della struttura parrocchiale e vorrebbero restaurarla. Halík è convinto che non è il caso e non ritiene realistico voler arrestare questo processo storico, importando per es. preti dall’estero; anche nel caso un giorno si procedesse all’ordinazione dei viri probati o delle donne, il processo di declino delle parrocchie territoriali non s’arresterebbe. Ascolto e dialogo deve essere offerto soprattutto ai cosiddetti “nones”, persone che non appartengono a nessuna categoria, non sono atei, non sono credenti, ma sono alla ricerca di un “senso/direzione” per la loro vita. A fronte della crisi della parrocchia, non serve e non funziona un progetto restauratore come quello proposto da R. Dreher in L’opzione Benedetto, una strategia per cristiani in un mondo post-moderno (San Paolo 2018). Una Chiesa che perseguisse oggi un progetto di restaurazione, rischierebbe di diventare una setta tradizionalista. La proposta di “rifugiarsi in un ghetto, in un artificiale parco archeologico del passato di fronte alla continua necessità di prendere decisioni nelle difficili condizioni della libertà e sfuggire al compito di vivere nella contemporaneità, oggi è una seduzione allettante che aumenta l’attrattività delle sette. La tempesta della paura minaccia la fiamma della fede, il coraggio di cercare Dio incessantemente in modo nuovo e più profondo” (p. 239). La Chiesa ha bisogno di oasi di spiritualità e di persone che consacrino la loro vita alla loro cura, ma la Chiesa non può e non deve creare nella società un’isola di controcultura. I discepoli di Gesù prima di chiamarsi cristiani venivano chiamati “la Via”(At 9,2). Oggi la Chiesa deve tornare a essere la “società della Via”, deve sviluppare il carattere peregrinante della fede per attraversare questa nuova soglia e accogliere, ascoltare e comprendere tutti quelli che cercano un senso alla loro esistenza: questo è quello che la preparazione del sinodo del 2023/24 sta evidenziando (v. ad es. Documento sulla tappa continentale del Sinodo n. 32-34.38-40).



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