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Il primo messaggio che ci hanno trasmesso questi oltre due mesi di pandemia è stato senz’altro quello della fragilità. Siamo mortali e precari su questa terra, forse ce n’eravamo dimenticati. Abbiamo bandito la morte dal nostro immaginario, esorcizzandola in tanti modi diversi. Con effetti devastanti in tutti i settori della vita: le relazioni affettive, l’educazione, la famiglia, la politica, lo sport, il lavoro ecc. Invece, la compagnia della morte e della fragilità, come abbiamo – forzatamente – sperimentato in questi mesi, ha paradossalmente riacceso in noi il gusto della vita. Quasi a dirci che, se avessimo l’ardire di sceglierle – la morte e la fragilità – come compagne di viaggio, saremmo senz’altro più ricchi, culturalmente e spiritualmente. È il messaggio che ci lancia la nuova poesia di p. Gesuino Piredda, missionario saveriano della comunità di Brescia, intitolata appunto “Fragilità”. Paradossalmente anche i giorni di pandemia sono stati un grembo fertile di poesia!

FRAGILITÀ

Sulla riva del fiume
osservo la foglia
che l’acqua trastulla
verso il mare,
contemplo
l’ultimo raggio di sole
al tramonto
e poi scompare.
Tanti se ne sono andati,
neppure una carezza
che libera il cuore,
scomparsi nelle malinconiche file
dei camion,
ma verso dove?
Altro non resta
che il fluire della vita,
impercettibile sussurro
come il vento
che traccia non lascia.
Questo sento
nel silenzio del chiostro
ove ascolto
il bisbiglio tenue delle cose
rapite dal vuoto silente
del nulla.
Che sia la fine?
Osservo il colle
e tutto dice
lo stare delle cose
come sospese,
le persone mute
chiuse nelle ville
e lo sguardo fisso a valle
come in attesa
di un filo di luce.
Solo segnali di resa
gridati dall’urlo delle sirene
in corsa verso l’ospedale,
come prima, come sempre,
e il futuro?
se futuro sarà.
Passo in rapida sequenza
le stagioni della mia vita,
i volti, i luoghi segreti
della mia giovinezza,
gli addii struggenti
con il treno in fuga
e la nave pronta nel porto
verso lidi sconosciuti,
lo sguardo fisso
verso i monti di Limbara,
le lacrime nascoste
che scivolavano a mare.
Seduto sul prato
dei monti di Primiero,
guardavo a valle,
eterno credevo
quel sogno
cullato dalla brezza
a sera.
Si infrange ora
al passo del tempo
che dice la fragilità delle cose,
la vanità del tutto
e altro non lascia
che il triste abbandono
degli uomini in pena.
Non avevo fatto i conti
con il leggero peso della terra.
Ma è la resa?
Non so,
scoprire vorrei
il segreto di esistere
senza paura,
colmare il vuoto del cuore,
affrontare vorrei
la paura del buio,
ma aperto al mistero
che avvolge ogni cosa.
Mi sento come perso nel tempo
Ma vivere vorrei
l’enorme fragilità del mondo,
scorgere che sempre qualcosa manca,
e in questo vuoto
recuperare il segreto
scoperto a primavera
nel cielo notturno
segnato dalla luna e dalle stelle,
l’Infinito, immortale
senso del tutto,
unica felicità possibile
in un mondo,
quando se ne sappia vivere la fragilità
come compagna di viaggio.

(di p. Gesuino Piredda)



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