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LA FIACCOLA DELLA FEDE / OLGA, LUCIA E BERNARDETTA

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Risonanze dello spettacolo “Vivere per-dono” a Parma (22 marzo 2023)
(Pubblicato su “Vita Nuova”, Parma 26 marzo 2023)

Scrive Aharon Appelfeld nel suo libro Storia di una vita, che “chi parla nella lingua dei martiri non solo conquista per loro la memoria in questo mondo, ma erige una muraglia contro la malvagità, e passa la fiaccola della loro fede alle generazioni future”. Che cos’è questa lingua dei martiri e cosa significa per noi parlarla ancora? Ne va della fiaccola della fede da passare alle prossime generazioni. Ne va della muraglia da ergere, oggi più che mai necessaria, contro il dilagare della malvagità e del non senso. 

Una delle tante risposte a queste domande è stato il “Teatro dell’anima: Vivere per-dono” – organizzato dalla rivista Misione Oggi –, che ha portato in scena il barbaro assassinio di tre anziane missionarie Saveriane avvenuto tra il 7 e l’8 settembre del 2014 a Kamenge, nella periferia di Bujumbura (Burundi). Lo scenario del teatro è stata la stupenda chiesa di San Francesco del Prato, sede un tempo del carcere di Parma. Tra quelle pareti sorte per elevare a Dio la preghiera e il culto, sono invece risuonati per lunghi anni i lamenti, le urla delle torture, le suppliche di prigionieri politici, di criminali comuni, di innocenti ingiustamente reclusi. A quelle voci si sono unite quelle di bravi attori e attrici che hanno incarnato nella poesia il dramma di tre donne massacrate e vilipese con crudeltà maniacale da poveri disgraziati al soldo di poteri oscuri, inquietanti, che fino ad oggi non sono mai stati chiamati a risponderne davanti alla giustizia umana. Perché proprio loro, tre missionarie anziane, amate e stimate dalla gente e che nessuno avrebbe immaginato potessero essere una minaccia o un’ambita preda di disegni perversi? Facevano soltanto un po’ di bene, quel poco che le loro forze permettevano ancora. Non avevano pestato i piedi ai potenti, non avevano mai alzato la voce contro nessuno. Non erano rivoluzionarie né leader circondate da fama e successo.

Erano là, quella domenica pomeriggio di settembre, in attesa di altre sorelle missionarie in arrivo dall’Italia. Niente di straordinario, si dirà. I martiri ce li immaginiamo impavidi, con la fronte alta, disposti a morire gridando il proprio credo. No, niente di tutto questo. Erano là e basta. C’erano. Non hanno mai voluto abbandonare quel posto, neanche quando il sentire comune avrebbe potuto giudicarle prive d’importanza, se non superflue. Esserci. Ecco ciò che conta. Esserci perché si ama qualcuno, perché si è abbracciato il vangelo, perché non si vogliono abbandonare gli ultimi al loro destino. Esserci, nel lento scorrere dei giorni, nella silenziosa fedeltà a un Dio che, pure lui, ha voluto restare in disparte, perdendo senza recriminazioni le sue prerogative divine. Quelle tre donne non erano nel posto sbagliato, all’ora sbagliata, facendo poco o niente. Erano lì dove hanno voluto essere, fino in fondo, consegnando ormai la sola ricchezza rimasta: un corpo fragile, dimentico della bellezza di un tempo ma con ancora dentro la passione dell’amore. I carnefici non hanno potuto spegnerla. E non si spegnerà se noi continueremo a cercare la verità, se porteremo alta la fiaccola della loro fede e la consegneremo alle generazioni future. Anche noi degni di parlare il linguaggio dei martiri.



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