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Tra poco sarà il 12 agosto, 75 anni dall’eccidio di S. Anna di Stazzema.

393 civili trucidati – bambini, donne e uomini -  dimenticati come i molti, troppi episodi accaduti in quegli anni in Italia e a tutt’oggi senza alcuna giustizia e senza alcuna verità storica, giudiziaria o della memoria collettiva.

Per S. Anna l’oblio cessò con il processo del 2004, celebrato a La Spezia, dopo la scoperta del cosiddetto “armadio della vergogna”, nel 1994, che custodiva centinaia di fascicoli istruiti fin subito dopo la fine della guerra: fascicoli contenenti date, avvenimenti, responsabilità, nomi: gerarchi nazisti, militari delle SS, fascisti e collaborazionisti italiani. Il tutto “provvisoriamente archiviato” prima, e per la quasi totalità dei casi definitivamente archiviato poi per i molti anni passati, la relativa difficoltà a ricostruire con precisione gli eventi, ma soprattutto l’estrema scarsità di risorse umane e materiali messe a disposizione dello stato per fare luce su quelle atrocità.

Nonostante sia doloroso diventa quindi indispensabile accostare e conoscere la tragicità di quei fatti e il perché di tanto silenzio. Un contributo prezioso ci arriva dal testo di Lorenzo Guadagnucci “Era un giorno qualsiasi”, edito da Terre di mezzo.

E’ da questo testo che voglio attingere: per l’importante ricostruzione di quel fatto - narrativamente avvincente perché sgranata nel racconto della sua vicenda familiare, con suo padre scampato fortuitamente all’eccidio quando aveva sei anni e lui, Lorenzo, scampato altrettanto fortuitamente all’orrendo pestaggio subito alla scuola Diaz durante il G8 di Genova - ma anche per molte delle riflessioni che contiene che vanno dritte al punto, senza sbavature. A proposito del perché di tanto silenzio, dell’oblio al posto della “giustizia”, della scelta di consentire che molti nazisti e fascisti potessero riciclarsi continuando ad occupare posti di potere, della vergogna delle vittime, della reiterata costituzione di corpi speciali, sia in campo militare che per la gestione dell’ordine pubblico, nonostante da sempre siano i maggiori responsabili di atti violenti e repressivi. Del senso necessario del fare memoria.

“Che cosa stiamo dicendo in realtà alle giovani generazioni, quando raccontiamo la guerra e le stragi compiute in Italia? Che le SS incarnarono il male assoluto, che erano espressione di un sistema di potere capace di concepire e praticare l’indicibile….. Spendiamo molte parole per dire che la memoria dev’essere di insegnamento affinché niente del genere possa ripetersi. Tutto giusto, ma alla fine ci ritroviamo muti quando lo stesso sistema di pensiero e di azione è messo in pratica da altri, magari dai ‘nostri’, da eserciti e regimi politici che condividono, almeno sulla carta, lo stesso nostro sistema di valori….. E spesso sono gli Stati, anche quelli democratici, a imboccare la strada della violenza estrema. Bisogna combattere la cultura che rende tutto ciò possibile…...In fondo voglio dire solo che la memoria di S. Anna dovrebbe fare da leva per costruire un pensiero nuovo, una cultura diversa”. Se luoghi come S. Anna “non diventano laboratori di un pensiero diverso, se non si dichiarano senza paura scuole di pace e di nonviolenza, i nostri sforzi di memoria alla fine lasciano cadere il grido che arriva da Elena e dagli altri morti. Si resta impaludati nella retorica delle vittime,…...l’esecrazione per i nazisti e le SS, generici auspici per la pace in Europa e nel mondo. Tutto giusto. Ma non si costruisce nulla di nuovo”.



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