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CONGO RD / SVANISCE IL SOGNO DI UNA CENI DEPOLITICIZZATA

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Il Parlamento congolese ha approvato nel giugno scorso la nuova Legge per la composizione della Ceni (Commissione elettorale nazionale indipendente), che riafferma il controllo della stessa da parte della nuova maggioranza politica. Diverse espressioni della società civile, tra cui alcune dell’opposizione politica, esponenti delle maggiori cancellerie internazionali e l’ufficio delle Nazioni Unite avevano chiesto la depoliticizzazione di questo importante organo, incaricato dell’organizzazione delle elezioni generali nel 2023. Queste istanze chiedevano una istituzione neutrale, imparziale, non legata ai partiti, soprattutto alla luce delle reiterate accuse di manipolazione dei dati nelle elezioni del 2006, 2011 e 2018. 

Ora, la nuova maggioranza al governo, che ha scardinato il “sistema Kabila”, ha praticamente riproposto la vecchia Legge con qualche piccolo emendamento, riducendo oltremodo il peso della società civile. La nuova Legge ha fatto passare da 13 a 15 i membri della Ceni, di cui 6 delegati della maggioranza al potere, 4 dell’opposizione, 5 della società civile, di cui fa parte la piattaforma delle confessioni religiose che ha il compito di proporre il candidato che presiederà la Commissione. Il comitato esecutivo della Ceni sarà formato da 7 membri, di cui 4 della maggioranza, 2 dell’opposizione e uno solo della società civile. Le Chiese cattolica e protestante avevano disapprovato queste riforme in una dichiarazione congiunta nella quale chiedevano che il comitato esecutivo fosse composto unicamente da membri della società civile e che la totalità dei membri politici nella Commissione fosse uguale ai membri della società civile. 

La piattaforma delle 8 confessioni religiose riconosciute dallo Stato è composta dalla Chiesa cattolica, dalla Chiesa protestante Ecc (Eglise du Christ au Congo), che raggruppa 95 denominazioni diverse, dalle Erc (Chiese del risveglio), dall’Esercito della salvezza, dalla Chiesa ortodossa, dalle Ueic (Chiese indipendenti), dalla Ejcsk (Chiesa kimbanghista), dalla Comico (Comunità musulmana). Il nome del candidato dovrebbe essere scelto in modo consensuale. Ora, malgrado la dichiarazione congiunta presentata dalle confessioni religiose nell’aprile 2021, dove si evocava l’importanza di rinforzare i meccanismi che potessero assicurare l’indipendenza, la neutralità e l’imparzialità della Ceni, queste non riescono a mettersi d’accordo sulla designazione del candidato. Era già avvenuto nel 2020, quando le istituzioni dello Stato erano in mano all’ex presidente Joseph Kabila. Allora il presidente Felix Tshisekedi si era rifiutato di designare Ronsard-Ernest Malonda, proposto dalle sei confessioni religiose minoritarie, di fronte all’avvertimento delle Chiese cattolica e protestante, che lo accusavano di essere troppo vicino all’ex presidente Kabila. Grandi manifestazioni popolari di protesta avevano indotto Tshisekedi a temporeggiare sulla sua designazione. 

Ebbene, la piattaforma delle confessioni religiose si trova oggi nello stesso impasse, essendo tra l’altro scaduto il termine per presentare il nome del candidato. Il nome presentato dalle 6 confessioni minori, che rappresentano circa il 20 per cento della popolazione, è osteggiato dalle Chiese cattolica e protestante, che rappresentano circa l’80 per cento della stessa. Malgrado l’accordo raggiunto sulle caratteristiche del candidato ideale – di provata etica morale, esperto nel processo di governance elettorale, con il coraggio di pubblicare i veri risultati delle urne –, le 8 confessioni religiose non sono ancora giunte ad un accordo su un nome comune. Anzi, le sei confessioni minori si sono accordate sul nome di Denis Kadima, che cattolici e protestanti considerato troppo vicino al presidente Tshisekedi. Inoltre, cattolici e protestanti considerano illegale la procedura applicata dalle 6 confessioni religiose minori e denunciano il rischio di un controllo del potere su tutto il processo elettorale, soprattutto dopo la ricandidatura dello stesso Tshisekdi per un nuovo mandato nel 2023. 

I membri del partito del presidente Tshisekedi, l’Udps (Unione per la democrazia e il progresso sociale), hanno il dente avvelenato contro le Chiese cattolica e protestante, accusate di voler imporre l’alternanza al potere nel 2023. Lo stesso segretario generale della Cenco (Conferenza episcopale nazionale del Congo), l’abbè Donatien Nshole, come portavoce della piattaforma delle confessioni religiose, ha denunciato tentativi di corruzione, d’intimidazione, minacce e pressioni di ogni tipo da parte dei politici nei loro confronti impedendo loro di svolgere il loro lavoro con calma e senza interferenze. 

Domenica 1° agosto, la tensione tra religiosi e politici e all’interno della stessa piattaforma delle confessioni religiose, si è spostata sui territori.  A Kinshasa e nella provincia del Kasai orientale, del presidente Tshisekedi e dello stesso candidato Denis Kadima, una decina di chiese cattoliche sono state attaccate da gruppi di persone non ben identificate. Il vescovo della diocesi di Mbuji-Mayi, capoluogo di provincia, mons. Bernard-Emmanuel Kasanda, ha denunciato atti di profanazione accompagnati da furti di ornamenti liturgici, oggetti sacri, immagini. Anche la residenza di mons. Fridolin Ambongo, arcivescovo della capitale, è stata fatta oggetto di lancio di sassi e di slogan degradanti. In una conferenza stampa lunedì 2 agosto, il rev.do Eric Nsenga per la Ecc e l’abbé Donatien Nshole per i cattolici, hanno condannato i fatti e chiarito la polemica con le altre confessioni religiose. Oltre all’irregolarità della procedura da parte delle 6 confessioni minori, non è stata verificata l’idoneità del candidato secondo la nuova Legge. 

Il 2 agosto la Cenco reagisce in modo particolarmente severo nei confronti del segretario generale dell’Udps, Augustin Kabuya per i suoi propositi denigratori verso l’arcivescovo di Kinshasa e del segretario generale della Cenco accusandoli tra l’altro di politicizzare la Chiesa. Tutti questi fatti, continua la dichiarazione della Cenco, manifestano “odio contro la Chiesa cattolica”. La Chiesa cattolica condanna questi atti come un attacco alle libertà religiosa e di espressione, che sono già una distorsione della democrazia e costituiscono una regressione dello Stato di diritto. Invita poi i fedeli cristiani e i difensori della democrazia a non reagire violentemente perché “la violenza è l’arma di chi è povero di argomenti in un dibattito democratico. La violenza uccide la democrazia e la sostituisce con la dittatura”. La Dichiarazione si chiude con il rinnovato impegno della Cenco ad accompagnare il popolo nel consolidamento della democrazia e nel miglioramento delle sue condizioni di vita. Da sottolineare, in questa deriva politica, il silenzio del presidente Tshisekedi. Queste tensioni mostrano quanto sia difficile per chi è al potere, di qualsivoglia tendenza politica, cercare la trasparenza del voto e sottomettersi liberamente alla valutazione popolare.



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