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Vent’anni di missione in Colombia

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Sono già passati quattro anni dal mio ritorno in Colombia (era il 1° maggio 2010) che, sommati ai sedici del primo periodo (1987-2003), fanno in totale vent’anni. Come passa in fretta il tempo! Pensando al passato, mi vengono in mente tanti ricordi, come i viaggi in Land Rover per visitare i villaggi a Buenaventura nella foresta colombiana, condividendo il cammino di fede in mezzo a tanta povertà e abbandono.

La serenità della gente

Di quella prima tappa della mia esperienza missionaria, rimarrà incancellabile l’accoglienza della gente, fatta di gesti semplici ma sinceri.

Tutto questo mi faceva riflettere: “Come possono essere felici in mezzo a tanta miseria?”.

Ma con il passare del tempo, ho capito che loro erano la personificazione della beatitudine evangelica “beati i poveri di spirito”. Non possedevano quasi niente, ma erano contenti del poco che potevano avere. Così mi facevano riflettere sulla nostra vita: noi abbiamo tante cose, o aspiriamo ad averle, ma spesso siamo insoddisfatti!

Ricordo anche i “venerdì santi”, con le vie crucis in mezzo alla foresta e con l’immancabile acquazzone, che però non fermava né il cammino né la preghiera della gente.

Difficoltà e consolazioni

Altri ricordi sono quelli degli anni trascorsi nella periferia povera di Cali, in mezzo al fango marrone e appiccicaticcio dei giorni di pioggia o ai polveroni dei mesi estivi. Anche a Cali il Buon Dio mi ha regalato tanti momenti di grazia.

Non sono mancate difficoltà, momenti duri e di sconforto di fronte a tanta miseria e violenza. Però la gente mi è stata di consolazione e incoraggiamento.

Ricordo le visite ai malati e agli anziani, spesso abbandonati da tutti in catapecchie fatiscenti, che si illuminavano in volto quando ci vedevano. Questo ci faceva sopportare con gioia il calore asfissiante e “il cattivo odore” di quelle abitazioni piene di sporcizia.

Ricordo gli incontri di studio della bibbia, le catechesi ai bambini e ai ragazzi, gli sforzi per ottenere aiuti per costruire una scuola parrocchiale. Ci sono stati anche momenti traumatici, causati dal clima di violenza di quel periodo, come il dover celebrare i funerali di giovani uccisi in scontri tra bande rivali o consolare madri affrante dal dolore per la morte dei loro figli.

Spesso non sapevo cosa dire, ma solo il fatto di stare con loro faceva nascere nei nostri confronti una profonda e inattesa riconoscenza.

Una comunità vivace

Mentre ero immerso nei ricordi, una signora della Caritas parrocchiale mi ha chiesto se potevo confessarla. Dopo averlo fatto, guardando le persone che stavano in silenzio, riflettendo sui punti della meditazione che prima avevo loro dettato, mi sono detto: “Come sono fortunato ad avere nella mia parrocchia tanta gente così generosa e disponibile nell’offrire i propri talenti per costruire il suo regno!”.

Qui a Bogotá non ci sono le situazioni critiche che ho vissuto a Buenaventura e Cali. Però, avendo una parrocchia di 20mila abitanti,​senza di loro potrei fare poco. È solo con l’aiuto dei vari gruppi parrocchiali che si può costruire una comunità viva e dinamica.

Non nascondo che coordinare tutto questo lavoro non è facile: spesso bisogna prendere decisioni non condivise da tutti e le critiche non mancano…

L’importante è continuare il nostro cammino di crescita nella fede, aiutandoci, perdonandoci e soprattutto chiedendo ogni giorno al Signore il suo aiuto.

35 anni di sacerdozio

Mi sono ricordato anche che 35 anni fa, nel 1979, sono stato ordinato sacerdote. Per il mio paese - Cologno al Serio - fu un anno speciale. Proprio in quell’anno la comunità parrocchiale accolse ben cinque sacerdoti novelli; insieme a me c’erano p. Gianni Carlessi (dehoniano), mons. Tino Scotti, mons. Davide Pelucchi (diocesani) e don Gian Piero Belometti.

Ringrazio il Signore anche per questi 35 anni di vita sacerdotale. Continuiamo a pregare con fervore per le vocazioni sacerdotali e missionarie.



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