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LA PAROLA
Un giorno Gesù si trovava in una città e un uomo coperto di lebbra lo vide e gli si gettò ai piedi pregandolo: “Signore, se vuoi, puoi sanarmi”. Gesù stese la mano e lo toccò dicendo: “Lo voglio, sii risanato!”. E subito la lebbra scomparve da lui. Gli ingiunse di non dirlo a nessuno: “Va’, mostrati al sacerdote e fa’ l’offerta per la tua purificazione, come ha ordinato Mosè, perché serva di testimonianza per essi”. La sua fama si diffondeva ancor più; folle numerose venivano per ascoltarlo e farsi guarire dalle loro infermità. Ma Gesù si ritirava in luoghi solitari a pregare (Lc 5,12-16).

Gesù non è più un predicatore solitario, adesso l’accompagnano Simone, Giacomo e Giovanni. Come lui, dovranno diventare pescatori di umanità. Non è una casualità che la prima scena che si presenta ai loro sguardi è quella di un uomo coperto di lebbra. Dobbiamo fare un salto nel tempo per cogliere la provocazione che nasconde questo incontro, che non ha nulla di fortuito.

Molte tumefazioni della pelle potevano destare il sospetto della lebbra. Per questo, era necessario che i sacerdoti le esaminassero con cura per fare una diagnosi corretta. Se così era, il destino del malato era terribile. Tra tutte le malattie era considerata non solo la più orrenda e degradante, ma anche la più impura poiché anticipava la putrefazione della morte. Nessuno era più lontano e castigato da Dio di un lebbroso. Su di lui non pesava solo il dramma dell’infermità, ma anche l’emarginazione sociale e religiosa che lo privava di ogni affetto, di ogni relazione, umana o divina che fosse. Il più grande peccatore che si potesse immaginare, dunque.

Quando il lebbroso descritto da Luca si avvicina a Gesù e gli si getta ai piedi, rompe platealmente tabù millenari e, soprattutto, le rigide norme della Legge che proibivano qualsiasi contatto con le persone sane. Ma qui, c’è qualcosa di più di una semplice trasgressione. Il lebbroso chiama Gesù “Signore”. Prima d’ora solo Simone l’aveva chiamato così, là nel lago, chiedendogli di allontanarsi da lui perché era un peccatore. Il Santo, il Signore, non deve e non può mescolarsi con l’impurità: ne è l’esatto contrario! Per questo il lebbroso gli chiede, se vuole, di purificarlo.

Di quale Dio si farà portatore Gesù? Non certo del Dio dei sacerdoti, ma di un Dio che stende la mano e lo tocca. Non è più il braccio potente che ha sbaragliato e sterminato i nemici nel Mar Rosso, o che ha guidato le guerre sante, ma la mano che ha risollevato una donna in preda alla febbre e che mette ora le sue dita nelle piaghe di un morto vivente, nelle ferite di tutte le discriminazioni e solitudini. È un Dio che invece di maledire o allontanarsi dai guai, ci si va a ficcare dentro.

Gesù afferma che vuole purificare il lebbroso, che non vuole restituirgli soltanto la pelle fresca di un bambino, ma farlo partecipe dell’amore di Dio e degli uomini che gli era stato ingiustamente negato. Prima che dalla lebbra, è da una visione sbagliata di Dio che Gesù vuole tirarlo fuori. Vada, dunque, a farsi vedere da quei sacerdoti che con tanta minuzia l’avevano esaminato e poi espulso dalla società. Dimostri loro che la Legge è sempre lesta a condannare, ma tarda ad avvicinarsi, a toccare, ad amare e salvare questi brandelli di umanità.

Simone, Giacomo e Giovanni, sapranno d’ora in poi coniugare questi verbi come i verbi di Dio? Dovremo ancora fare molta strada con loro per saperlo, ma il fatto che Gesù si ritiri in un luogo solitario a pregare invece di cavalcare l’onda del successo, fa pensare che anche lui avesse bisogno di tempo per capire il senso di quanto era appena successo. Neppure per lui quei verbi erano facili.



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